martedì 15 dicembre 2009

C'è libertà e libertà

Essere liberi non significa fare quello che si vuole. O meglio, non è da confondere con la libertà di poter dire e sbagliare a nostro picimento. Il web sta assumendo le dimensioni di una enorme discarica intellettuale dove, chiunque ne abbia la volontà, si sente legittimato a scrivere e postare qualsiasi cosa violando i fondamenti che reggono le basi del concetto di Stato. Ultimo esempio di questa libertà vergognosa che gli internauti pensano di avere (per non so quale forma di diritto) riguarda l'immondizia legata a gruppi Facebook inneggianti a Tartaglia.

Per capire dove sta la falla, urge comprendere a fondo il concetto di Stato. Ma cos'è lo Stato? Max Weber scriveva «un'impresa istituzionale di carattere politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti». In altre parole: ogni cittadino deve rinunciare a una fetta della propria libertà (l'uso della forza per esempio) per declinarla alla comunità.

Insomma, non si può dire quel che si vuole. Ciò non si declina come un'infrazione del principio costituzionale in difesa della libertà di pensiero, ma sicuramente pone dei paletti a quella d'espressione. Un costituzionalista direbbe che ogni singolo è libero di esprimersi come gli pare, ma fino a non ledere la morale sessuale o la dignità altrui.

Questo punto mi sembra chiarito, eppure ciò che ancora mi suona molto strano è l'intervento di Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo. Tra i due non capisco più chi sia il comico o il giornalista, comunque vi posto la parte dell'articolo che mi preme sottoporvi (è un testo enorme l'integrale lo potete vedere sul sito). Travaglio scrive come se volesse giustificarsi, e ciò la dice lunga dopo l accuse pesanti rivolte dalla stampa di destra negli ultimi due giorni:

La politica non prevede la categoria del sentimento
Guardate, arrivo a dire una cosa paradossale che naturalmente verrà usata contro di me, ma non me ne importa niente: l’ha già scritta Massimo Fini spanerse volte, questa categoria per cui si parla di odio politico è una categoria del sentimento che viene applicata alla politica, la politica e il sentimento non c’entrano niente, la politica è un fatto tecnico, per cui ti voto affinché tu faccia delle cose, ma tu non puoi chiedermi di amarti, tu puoi chiedermi di votarti, ma non mi puoi chiedere di amarti, non esiste l’amore dell’elettore per il suo eletto, esiste soltanto nelle dittature, quando appunto il populismo carismatico del capo riesce addirittura a attirare l’amore degli elettori, che non sono più neanche cittadini, sono proprio sudditi, sono un’altra cosa, sono acritici, sono pecore che adorano il capo.Il fatto che sia tornata la categoria dell’odio e quindi dell’amore nei commenti dei giornali - leggete le stupidaggini che scrive oggi Battista su Il Corriere della Sera sul clima di odio etc. etc. - bisognerebbe rispondere, come fa Massimo Fini, “ e ‘mbe? Chi l’ha detto che non posso odiare un uomo politico? Chi l’ha detto che non posso augurarmi che se ne vada al più presto? Chi l’ha detto che non posso augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto?”, guardate che questa cosa qua, che sembra orrenda, dice “ oddio, c’è qualcuno che lo odia!”, è assolutamente normale: ognuno a casa sua, nel suo intimo, è libero di odiare e di amare chi gli pare e non esiste in democrazia che i cittadini siano obbligati a amare coloro che li governano, anche perché se tu ami una persona perdi lo spirito critico e il cittadino elettore deve sempre mantenere uno spirito critico. Per cui leviamoci dalla testa questo ricatto, che non bisogna odiare e che bisogna amare coloro che ci governano, o che bisogna rispettarli: ma per quale motivo dovrei rispettare uno che insulta tutti quanti, compreso me tra l’altro, in continuazione da quindici anni? E’ importante questo: la condanna ferma, fermissima dell’attentato e il dire che queste cose non si devono fare e che chi le fa deve essere punito e, nello stesso tempo, dire “ io quello lì non lo voglio più vedere, io quello lì non lo voglio come Presidente del Consiglio, quello non mi rappresenta, speriamo che se ne vada presto da Palazzo Chigi”, queste cose sono cose.. oppure “ lo detesto, lo odio”, personalmente non lo odio, ma non vedo per quale motivo qualcuno non potrebbe invece odiarlo: l’importante è che si limiti a odiarlo senza fargli niente di male, non esiste il reato di odio, esiste il reato di violenza, di aggressione, di lesioni, di tentato omicidio, di omicidio, quelli sono reati, ma il reato di odio non esiste, dire a una persona “ io ti odio” non è un reato, se Dio vuole, altrimenti altro che in un regime, saremmo in Bielorussia, Paese per altro da poco indicato come modello di democrazia dal nostro Presidente del Consiglio nella visita a Lukashenko, dove ha detto “ la gente ti ama e quindi è giusto che tu stia lì”, vedete come nascono le dittature? Nascono nella testa del dittatore o dell’aspirante dittatore ben prima che nella testa dei cittadini, o meglio dei sudditi. Quindi c’è qualcosa di strano in quello che dicono Rosi Bindi, che l’ha detto meglio e Antonio Di Pietro, che l’ha detto in modo più sgangherato, cioè nel definire la vittima di quell’attentato vergognoso, che tutti condanniamo etc., un noto provocatore, uno che se le va a cercare? Non c’è niente di strano a dire una cosa del genere, è nella biografia del Presidente del Consiglio, è nel suo DNA, credo che in qualche momento di lucidità - ogni tanto ne avrà anche lui - ammetterà sicuramente, in cuor suo, di essere un grande provocatore: lo fa apposta, se non fosse un provocatore non farebbe e non direbbe tutte le cose che dice e che fa, non se la prenderebbe ogni santo giorno con tutti i tribunali che ci sono in giro per il mondo, tranne probabilmente Forum di Canale Cinque; non se la prenderebbe con la Costituzione, non se la prenderebbe con la Corte Costituzionale, non se la prenderebbe con tutti quelli con cui se la prende, compresi quelli che non esistono e che vede solo lui, tipo tutti questi complotti dell’opposizione; insomma, basta guardare le facce di quelli dell’opposizione, per rendersi conto che, anche se volessero, non sarebbero in grado di fare nessun complotto, ma comunque neanche vogliono farlo e quindi stiamo tranquilli. Lui è un grande provocatore e alcuni suoi alleati peggio di lui: immaginate che cosa c’è di male nel dire che questi signori provocano da quindici anni il Paese, quando abbiamo sentito un Ministro come Bossi parlare di fucili, di kalashnikov , di 200 /300. 000 uomini armati nelle valli pronti a imbracciare i fucili e a marciare per l’indipendenza e la secessione, ma queste cose ce le ricordiamo o no?! A qualcuno è mai venuto in mente di attribuire a questi signori dal linguaggio violento un qualsiasi episodio di violenza accaduto nelle loro valli? Pensate soltanto alla violenza che ha seminato Berlusconi in questi anni, forse è l’uomo politico più violento che si sia mai visto nella storia repubblicana e italiana: fatevi venire in mente qualche Presidente del Consiglio, come De Gasperi, Moro, Andreotti, erano tutte persone che, almeno nel linguaggio, erano piuttosto mansuete. E’ l’uomo politico più violento che ci sia stato nella storia repubblicana e conseguentemente dire che è un provocatore e che è più predisposto nell’eccitare gli animi di un eventuale squilibrato mi sembra una banalità assoluta, per cui non capisco quale sia il problema in quello che hanno detto la Bindi e Di Pietro, i quali per altro hanno precisato entrambi che, ovviamente, condannavano l’attentato e davano la solidarietà umana al Presidente del Consiglio, che resta un provocatore anche se gli hanno tirato una Madonnina in faccia, perché basta leggere i suoi discorsi e uno se ne rende perfettamente conto.

Siamo dunque liberi di odiare e sperare che qualcuno crepi alla svelta? Ho letto bene? Cari lettori... a me proprio non convince. Molto meglio gli interventi di Battista (bistrattato da Travaglio), Calabresi, Stella e Mauro.

lunedì 14 dicembre 2009

Fermarsi a pensare


E alla fine le legnate sono arrivate sul serio. Grazie al cielo è stato solo un cazzotto, ma a distanza di 24 ore, scaduto il tempo per la compassione, si inizierà la battaglia per sancire eventuali responsabilità morali di quanto accaduto. Bene, il Pennivendolo si chiama fuori da questa logica, perché qui non si punterà il dito contro nessuno. Diciamo piuttosto che è nel mio interesse inveire contro l'intero sistema che ha trasformato la lotta politica in una questione viscerale; l'ha buttata sul piano personale, facendone motivo di rabbia privata proprio come un lite tra vicni di casa. Il tuo cane me la fa sullo zerbino? Te lo ammazzo. Mi ammazzi il cane? Ti taglio le gomme della macchina e via nel turbine di follia.

Quanto detto è un'iperbole, ma ben poco si discosta dalla realtà. Ha ragione Gian Paolo Pansa nel ricordare che una stagione delirante l'Italia l'ha già vissuta durante gli anni di piombo, quando bastava finire in prima pagina sui giornali per venire gambizzato o fatto furoi come nemico del popolo. I toni della lotta politica sono impazziti: da una parte c'è l'attacco a tutte le strutture istituzionali, dall'altro il desiderio di distruzione personale del Berlusconi soggetto politico e infine è arrivata anche la terza parte: quella dei folli che pensano che la lotta politica possa essere risolta a colpi di madonnina. Si tratta di pazzi appunto, di persone disturbate, in terapia ma mai come ora urge la necessità di aprire i libri di storia e mettersi a leggere un po'. Probabilmente i più non sapranno chi fu Rudi Dutsche (foto). Ebbene, ve lo racconta il Pennivendolo come occasione per mettersi a pensare.

Rudi fu uno studente tedesco che nel 1963 aderì al gruppo Sovversive Aktion e all' SDS, l'organizzazione degli studenti socialisti tedeschi. Dutschke divenne in breve tempo il leader dell'ala antiautoritaria dell'organizzazione. Lo chiamavano Rudy il rosso, tutto Marx e Mao, determinato più che mai a creare scompiglio all'interno della borghese e imprenditoriale Germania Ovest della fine degli anni Sessanta. Ma qualcosa non funzionò. Contro Rudy il rosso si scatenò una vera e propria campagna mediatica capitanata dai giornali controllati da Axel Springer (editore tedesco oggetto delle mire rivoluzionarie di Dutsche), che titolavano "Fermate Dutschke Adesso!". E alla fine qualcuno ci pensò davvero a fermare Rudi. Un tappeziere esaltato e psicologicamente instabile, Joseph Bachmann, prese alla lettra l'invito e l'11 aprile 1968 sparò a Rudi tre colpi. Dutsche non morì ma soffrì di seri problemi al cervello per l'attentato per tutta la vita. Morì nel 1979 in seguito a una crisi epilettica mentre faceva il bagno.

Ora: non è forse giunto il momento di moderare i toni? L'unica cosa di cui sono certo è che un pazzo pronto a premere il grilletto non è cosa difficile da trovare.

venerdì 11 dicembre 2009

Il Nobel dell'ipocrisia


"Esiste la guerra giusta". Che novità, come sostenere d'avere scoperto l'acqua calda. Eppure all'annuncio da parte di Mr. President il mondo sembra aver ricevuto l'illuminazione dell'oracolo di Delfi. Pensate a cosa sarebbe successo se a dire la stessa cosa fosse stato George W. Bush. Altro che rivolta popolare e giù con le bandiere a svastiche e strisce. Il grande sciamano ce l'ha fatta, ci ha fregati tutti, ci ha ipnotizzato e come un branco di pirla ci siamo abbeverati delle sue castronerie come al Sacro Fonte dell'eterna giovinezza. Così, a distanza di anni, siamo tutti d'accordo che la guerra in Afghanistan è sacra e santa, così come in Iraq il fosforo bianco e i proiettili non sono poi così terribili. E questo perché? Solo per legittimare il suo bel faccione mentre ritira la sua patacca.

Si è detto che quello di Mr. President sia stato un Nobel alle intenzioni, alle speranze. Bei concetti che sono stati smentiti con l'invio di altri 30mila soldati in medio oriente. Se non ricordo male, sempre sugli intenti e sulla prevenzione, l'amministrazione Bush varò quel concetto aberrante di guerra preventiva. Non è forse la stessa matrice logica che oggi partorisce il Nobel preventivo? Potremmo aver trovato il nuovo prodotto intellettuale "Made in Usa"di stampo Mentadent: prevenire è meglio che curare. Solo che non voglio essere abbastanza pecora da bermi questa farsa. Dico no a Mr. President e a sua moglie (che è come il prezzemolo è su qualsiasi passerella, in tutte le tv americane. Ma qualcuno l'ha mai votata?), dico no alle balle spacciate per una lezione di politica internazionale. Mi spiace Mr. President, non sono abbastanza pirla da credere che in fondo sia poi così diverso dal suo predecessore. Il mondo le crede io no.

Pubblicamente ho sempre pensato che la guerra in medio oriente avrebbe tenuto alla larga un conflitto da casa nostra, e così è stato. Per questo però mi diedero del guerrafondaio imperialista. Ma adesso cos'è successo? La guerra è un concetto pop? Non è più una bruttura esclusiva delle destre mondiali? Non è più il peggiore dei mali legati alla delirante natura umana chiamata violenza? Me lo spieghi Mr. President perché la sua comparsata all'Accademia dei Nobel mi ha gettato nella confusione. Molti colleghi sulle pagine dei giornali sembrano aver capito tutto, io un po' meno. Sembra che dai cannoni in Iraq debbano uscire i fiori adesso.

Un'ultima cosa: se davvero lei fosse stato l'uomo del cambiamento, quel premio di cartone lo avrebbe rifiutato risparmaindoci tutta l'ipocrisia della cerimonia di Oslo.

giovedì 3 dicembre 2009

A chi giova?


Negli anni Settanta, davanti ai cadaveri delle stragi terroristiche, la sinistra extraparlamentare soleva chiedersi accarezzandosi il pizzetto anticonformista: "Ma tutto ciò a chi giova?". In quel clima di confusione politica e sociale, l'interrogativo portò fuori strada i più sulle colonne degli organi di stampa alternativa e di controinformazione: sono i servizi segreti, la Cia, i russi e chi più ne ha ne metta. Cercando di capire cosa stia succedendo oggi nella maggioranza, tra un Fini scontento e un Berlusconi incazzato, credo che porsi la domanda "a chi giova?" possa essere invece una buona chiave di interpretazione. Mentre il premier se ne vola a Panama, in Italia rimane l'eco delle ultime dichiarazioni di Fini che (inutile fingere) è ormai un elemento d'opposizione all'interno del Pdl. Non entriamo nel merito se il Pdl debba essere un feudo berlusconiano o la copia riuscita del Partito Democratico, non è questo che mi interessa per ora. E' sicuramente più importante, nel mezzo di questo fuoco incrociato, riuscire a capire chi sta traendo vantaggio. Lo dico subito a scanso di equivoci: non sono ne Fini, nè Berlusconi.

Da volpe del deserto parlamentare, chi questa volta sembra aver capito tutto è Casini che, sempre più vicino a Berlusconi, ha intuito che da questa guerra può trarre vantaggio. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e anche Bossi è consapevole che, bruciato Fini, l'alleato chiave del Cavaiere sarà sicuramente lui.

Dunque la sfida si trasla tra chi c'è e vorrebbe pesare sempre di più, Bossi, e chi se ne è andato e adesso vorrebbe tornare, Casini. Staremo a vedere, ma una cosa è certa: Fini da solo non può andare da nessuna parte e il Pdl dovrà rimettersi al tavolo per ridiscutere sul futuro della struttura del partito. Alle spalle della lotta intestina, chi giocherà la partita nell'ombra del futuro degli equilibri e delle alleanze, saranno proprio Bossi e Casini.

giovedì 12 novembre 2009

A volte ritornano


Dopo mesi di assenza sono tornato a scrivere sul pennivendolo. Tanto per ricominciare la stagione, propongo la lettura di un articolo pubblicato oggi da il Giornale con l'augurio che nessuno di voi debba mai avere bisogno della giustizia italiana.

sabato 12 settembre 2009

A dua anni dalla quarta corsia


A seguire il pezzo del Pennivendolo su il Giornale. A due anni dall'apertura della quarta corsia sulla A4 crolla il tasso di mortalità e migliorano le emissioni. Come è possibile? Chiedetelo agli ambientalisti.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=381928

giovedì 10 settembre 2009

La Svizzera butta gli occhi sui nostri medici


Prima gli infermieri adesso i medici. Stipendi alle stelle chiamano i nostri camici bianchi oltre il confine. Gli elvetici avrebbero bisogno di almeno del doppio dei medici che formano attualmente. Leggi l'articolo del Pennivendolo su il Giornale.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=381378

mercoledì 9 settembre 2009

E per magia la sterga Oriana divenne buona


Impossibile dimenticare quanto scritto da Oriana Fallaci a poco dal terribile attentato al World Trade Center di New York. "La rabbia e l'orgoglio", più che una riflessione, più che un commento, probabilmente un atto testamentario. Se la memoria non mi tradisce, ai tempi ci furono i guru dell'intellighenzia buonista che tuonarono contro la giornalista del Corriere. C'è chi arrivò a definirla fomentatrice d'odio o vittima di demeza senile.
A distanza di otto anni, il pensiero sembra essere cambiato. Come per magia il direttore Ferruccio De Bortoli ha fatto il miracolo, trasformando in fata, la strega Oriana. Segno che in Italia si può morire orchi ed essere ricordati santi.

Leggete l'intervento del direttore del Corriere.

http://www.corriere.it/cultura/09_settembre_08/rabbia_orgoglio_fallaci_de_bortoli_cc4658c8-9c36-11de-a226-00144f02aabc.shtml

domenica 6 settembre 2009

Operazione trasparenza a Milano


Carissimi,
come sapete per i prossimi due mesi sarò impegnato nella redazione de il Giornale. Sicuramente un compito di cui sono fiero ma che, per forza di cose, mi allontanerà dal vostro Pennivendolo. Non temete. Quanto di interessante produrrò sulle pagine del quotidiano lo riproporrò qui. Ricordate che per motivi di regolamento non posso firmare con il mio nome su il Giornale. Mi avvalgo così dello pseudonimo di Franco Tosoni...
Buona lettura
il Pennivendolo

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=380350

lunedì 31 agosto 2009

Mistero "Boffo"

Parafrasando ironicamente il nobel Dario Fo, comunico il link per la lettura della replica del direttore di Avvenire all'editoriale pubblicato da il Giornale. Buona lettura con l'augurio che il gossip possa smettere di mangiarsi la politica. Ma non è tutto: il direttore di Avvenire ha smentito ripetutamente il fatto imputatogli da il Giornale, ma il quotidiano di via Negri ha pubblicato il certificato del casellario giudiziario. Patacca o documento incontrovertibile? Per trasparenza pubblico anche il link al documento.

LA RISPOSTA DI BOFFO
IL DOCUMENTO


sabato 29 agosto 2009

Chi è senza peccato scagli la prima pietra


Gli avevano tirato l'ennesimo tranello quei bricconi di ebrei, ma il buon Gesù non ci cascò. Avrebbe dovuto condannare l'adultera, rinunciando al suo messaggio di misericordia, oppure assolverla, infrangendo la legge ebraica. Ma Gesù si chinò a terra, come si legge nel vangelo di Giovanni, scrisse qualcosa (che non sappiamo) nella sabbia e poi disse "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" (Gio 8,1-11). Ebbene le coscienze tremarono e l'adultera fu risparmiata dalla lapidazione.
Il vangelo è sempre illuminante come fonte di lezioni di vita, come bagaglio di ethos che accompagna l'uomo lungo il corso dei millenni. Eppure chi il vangelo dovrebbe conoscerlo a menadito, sembra che necessiti di una bella rinfrescatina catechistica. Mi riferisco alla brutta storia in cui è finito il direttore di Avvenire, Dino Boffo. Per chi non lo sapesse, il Giornale del direttor Feltri ha pubblicato un editoriale in cui si svelano i trascorsi discutibili del direttore del quoridiano della Cei in materia di condotta (più o meno sessuale) conclusi con una condanna a sei mesi commutata in pena pecuniaria per molestie telefoniche. Boffo avrebbe avuto degli attriti telefonici con la compagna dell'uomo con cui aveva una relazione omossessuale. Gossip di bassa lega verrebbe da dire, ma sono due le considerazioni che invece devono essere fatte.
La prima riguarda proprio la scelta editoriale fatta da Avvenire in questi ultimi mesi. Il quotidiano della Cei ha scelto di agire da organo moralizzatore e bacchettone nei confronti di Berlusconi man mano che mergevano i pettegolezzi sbandierati da Repubblica. Insomma, i vescovi sono diventati infallibili conoscitori delle peripezie sessuali del premier ignorando però (o fingendo di ignorare) quanto combinava il direttore del loro giornale. E Feltri, che non è certo uno sprovveduto o un ingenuo, ha reso pan per focaccia.
La seconda considerazione riguarda invece il punto più delicato e ignorato della questione, ovvero l'omossessualità di Dino Boffo. Mi correggo, più che l'omossessualità del direttore (che sinceramente non è e non deve essere un problema) mi disgusta l'ipocrisia che aleggia nella Chiesa. Mi si spezza il cuore nello scrivere ciò, proprio di fornte alle battaglie verbali che spesso mi sono trovato a combattere con amici e colleghi per tenere alto l'orgoglio dell'essere cattolici. Oggi me ne vergogno. Come si sa l'omossessualità in ambito vaticano non è proprio ben vista, anzi. Però adesso salta fuori che uno degli uomini più importanti per la comunicazione della Chiesa in Italia è un omossessuale. Ma chi vogliono prendere in giro? I sommi sacerdoti fanno i moralizzatori con gli umili e chiudono gli occhi con i potenti? Il singolo fedele deve confessare questa "devianza", ma se si è direttori, presidenti e via dicendo si può godere d'indulgenza plenaria? Ho amici preti e amici omosessuali, saranno queste le domande che vorrei porre agli amici del clero, perché da fedele, da cattolico praticante mi sento un po' offeso e preso per il naso.
Forse questi sommi sacerdoti dovrebbero ritornare al buon caro e vecchio Gesù come essenza del cristianesimo (come diceva il proibito Hans Kung) e non al politichese e al ruffianaggio che si sembra respirare di questi tempi. "Chi è senza peccato scagli la prima pietra".

mercoledì 26 agosto 2009

Voi chiamatelo beduino...


E' passato ormai un mese dall'ultima volta che sono intervenuto su questo blog, vuoi le ferie, vuoi la canicola estiva e una sana dose di pigrizia. Tuttavia eccomi tornato. Solitamente ad agosto non si legge nulla di particolarmente interessante sui quotidiani, sono infatti decisamente più interessanti i rotocalchi scandalistici con le loro fiumane di top less in bella vista e chiappe intente a rosolare su spiagge di mezzo mondo. Eppure nel cuore dello "zero informativo" un argomento degno di nota e commento c'è: Gheddafi.
Gheddafi, un nome che suona come una spina nel fianco, un problema di non facile soluzione. Si legge ini questi giorni di posizioni estremamente critiche nei confronti della scelta del governo di recarsi in visita in Libia, poiché il colonnello è un personaggio dal passato torbido, legato al terrorismo internazionale e avverso allo stato di Israele. Tutto questo almeno fino al 2006, quando L'Onu con una risoluzione ha riabilitato la Libia in seno a un impegno per il mutamento di comportamento. Il problema oggi sembra però uno soltanto. Gheddafi è l'uomo nero solo perché ha stertto un rapporto diplomatico con Berlusconi.
Ci si appella a qualsiasi cosa pur di screditare il governo davanti agli impegni diplomatici con l'ex colonia, l'importante è ridicolizzare Berlusconi. Purtroppo solo uno stolto non può vedere l'oro che luccica in fondo al pozzo libico. I numeri parlano chiaro: una riserva da 44 milirdi di barili di greggio e 6,5 miliardi di tonnellate di gas e una produzione di 1,9 milioni di barili possono essere già una buona ragione. A ciò, senza dimenticare che l'Eni è il partner energetico privilegiato dal Colonnello, aggiungiamo che il problema immigrazione è radicato proprio sulle coste libiche da cui partono le carrette del mare. Credo di potermi fermare, le buone ragione per creare i presupposti per una collaborazione internazionale ci siano davvero tutti. Dimenticavo: dal 2004 tra la Sicilia e la Libia è attivo un gasdotto, mentre l'Eni ha firmato un contratto che prevede 28 milirdi di dollari di investimenti per l'esplorazione di nuovi giacimenti per i prossimi dieci anni (già si partla di proroga a 25 anni). Se l'energia è uno dei nodi fondamentali della politica, solo Tafazzi con la sua bottiglia e il pannolone direbbe di no.
Ma vediamo chi è che fa lo schizzinoso con Gheddafi. A prescindere dal fatto che le trattative di rivvicinamento con la Libia furono con successo intrapprese da Prodi prima ancora che da Berlusconi, gli eminenti politici che criticano i rapporti con la Libia sono coloro che per anni sono stati ispirati da Mao, Lenin, Castro; che hanno ricevuto finanziamenti più o meno leciti dal regime sovietico (non certo il Paese delle meraviglie) o che in nome dell'autodeterminazione culturale dei popoli hanno spalleggiato con quel terrorista di Arafat.
Gheddafi è Gheddafi, non ci sono mezze parole per descriverlo. Forse le parole giuste le troverebbero i familiari dei passeggeri del volo Pan Am 103 schiantatosi a Lockerbie in Scozia il 21 dicembre 1988. Ammettiamolo: ne faremmo decismente a meno, ma la realpolitik impone le sue regole e se vogliamo continuare a vivere legati al cordone ombelicale del petrolio, dobbiamo accettare di avere a che fare non con uno, ma con cento di questi Gheddafi.

mercoledì 29 luglio 2009

Evasione dall'eversione


Ci sono affari parlamentari che di giorno in giorno lasciano seriamente senza parole. Mah, forse è la necessità di ferie, il caldo opprimente dell'estate romana, chi può dirlo... Eppure leggo con sorpresa sui giornali di oggi che l'onorevole Fabrizio Cicchitto ha chiesto un'iniziativa parlamentare per l'operazione eversiva messa in atto da De Benedetti e dal suo gruppo editoriale nei confronti del governo con la campagna mediatica lanciata dalle dichiarazioni di Patrizia D'Addario. Che l'iniziativa editoriale dei paladini della giustizia di Repubblica, nonché della Mata Hari pugliese siano ai limiti della decenza intellettuale (come d'altra parte andare a puttane, sia chiaro), il capogruppo del Pdl rischia di segnare un autogol politico clamoroso con questa interrogazione parlamentare. Appellarsi al rispetto della privacy, alla violazione ripetuta del segreto istruttorio e l'abuso della notitia criminis sono tutti punti che non fanno una piega, ma puntare il dito contro il secondo quotidiano nazionale, per quanto possa stare sulle scatole, soprattutto in un clima teso e per lo più sempre all'ombra dell'anomalo conflitto di interesse può fare veramente male Berlusconi e alla sua coalizione. Trovo già ridicolo che questa storia di escort cmmuffate da 007 e viceversa perpetrui ancora, ma questo intervento credo che sia l'apice dell'assurdo, la ciliegina sulla torta. E' chiaro che i dipietristi, scatenati come mille Don Chisciotte, si scagleranno in sella a schiumanti Ronzinante brandendo la durlindana del bavaglio dell'oipinione pubblica, della dittatura e della violazione della libertà di stampa. Ma come dargli torto questa volta? Di fatto è questo che si vuole fare: far tacere Repubblica e il suo giornalista megafono D'Avanzo. Da che mondo è mondo ogni editore tira acqua al proprio mulino e finché ci sarà il sole sopra le nostre teste così avverrà. Perché fare tutto sto casino, offrendo la testa su un vassoio d'argento all'opposizione? Meglio lasciar la democrazia al suo corso e al suo gioco elettorale, no?
Ma soprattutto a noi giornalisti piace moltissimo spararle grosse, quindi lasciatecele dire in santa pace, saranno gli eventi a darci torto o ragione.

giovedì 16 luglio 2009

Giù la maschera Tonino!


Mentre lo sceriffo molisano si erge a baluardo del garantismo nazionale, a Venafro & Co. qualcosa sembra non funzionare a dovere. Filippo Facci, con la sua solita verve irriverente, lo ha pizzicato sulle colonne de il Giornale. Con questa segnalazione, il Pennivendolo vi saluta perché parte per il mare. A presto
Ecco il link
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=366843

mercoledì 15 luglio 2009

Cervelli in fuga


Grazie a una collaborazione instaurata con il web-magazine italoafricano assaman.info, il Pennivendolo si è cimentato con le storie di italiani che hanno preferito la carriera all'estero piuttosto che rimanere nel Belpaese. Si tratta di un argomento spinoso dalle mille sfaccettature che può andare a parare su diversi aspetti della vita sociale, politica e scolastica dell'Italia. Quanto si racconta non è privo di giudizi, spesso pungenti e irriverenti verso la nostra società: questo non vuole essere assolutamente un punto di arrivo bensì di partenza per aprire un tavolo di discussione sull'argomento.
Urge un'altra considerazione di cui vorrei fare volentieri a meno, ma dalla quale non mi posso assolutamente astenere. Assaman.info è un progetto coraggioso e mosso da nobili principi che però non rispecchia, sotto svariati punti di vista, la concezione che il Pennivendolo ha di alcuni punti fondamentali della legislazione in materia di immigrazione. Colleghi in gamba hanno espresso il loro parere su determinati punti, pareri dai quali sento di dovermi allontanare. Non è una polemica, ma la garanzia che a voi lettori, prima di altro, prometto di essere coerente trapsarente e onesto.
Ecco i link delle storie, buona lettura
http://www.assaman.info/italia/attualita/120-thelma-va-in-america-per-fuggire-la-piovra-degli-atenei.html

http://www.assaman.info/italia/attualita/119-via-dallitalia-verso-mamma-africa.html

giovedì 9 luglio 2009

Tanto lo fanno anche allo stadio...

Ed eccoci di nuovo. E' più forte di loro non ci possono fare niente. Siamo rimasti in pochi, su questo non ci piove, a professare ancora il bel gioco della lotta politica. La sfida, il duello signorile, non certo un affaire da mammole, ma nemmeno da rissa da saloon. Invece eccoci qua ancora una volta dover prendere posizione davanti a tricolori millantati per carta igienica, inno nazionale salutato con il dito medio e adesso anche i cori tipici delle peggiori osterie del profondo nord. Non si tratta di gossip stavolta, nemmeno di violazione del privato. Qui si tratta di rispetto e buona educazione, di amor di patria e fedeltà ai valori della Repubblica. Valori cui i deputati italiai dovrebbero essere devoti e invece così non sembra. E fidatevi che a dirlo è un bergamsco doc, lombardo fiero della propria terra e del proprio dialetto.

Ma a farci infuriare non è solo la pagliacciata in salsa leghista dell'onorevole Salvini, è piu che altro la presunzione di innocenza e la becera giustificazione calcistica che il rappresentante della Lega milanese pensa di poter anteporre davanti alla sonora figura di merda che ha fatto. Già, sarebbe molto più apprezzabile un non sincero "mi scuso" invece che la follia innocentista rilasciata in un'intervista a il Giornale di ieri (segue il link). Non so dove si voglia andare a parare ma se da una parte ci si annichilisce con il gossip, dall'altra dobbiamo assistere a queste infauste e ingloriose manifestazioni da sbronza delirante. Adesso Salvini dice che se andrà in Europa. Magari lì nessuno capirà e potrà così cantare a squarcia gola contro gli amici terroni. Conosco molti leghisti, alcuni dei quali ricoporno pure cariche di notevole importanza politico amministrativa, e posso garantire che, nonostante il folklore verde, sono prima di tutto professionisti seri e rispettosi. Qui si è grattato il fondo del barile e non c'è ampolla con l'acqua del Po che tenga. Buon viaggio onorevole, speriamo che a Strasburgo non conoscano il dialetto lombardo almeno potrà cantare liberamente de daghéla al negher, al terun, all'albanes e al maruchìn... Dimenticavo: dalle mie parti si dice "ma và a scuà 'l mar cicianèbia".

A seguire il commento della vicenda redatto da Filippo Facci e l'intervista pubblicata da il Giornale

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=364999

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=364810

lunedì 29 giugno 2009

Link gossipparo per guardoni indiavolati


Sabato il Giornale ha pubblicato un'intervista esclusiva a Gianpaolo Tarantini. Per chi non può fare a meno di continuare a frugare nel fango del pettegolezzo, il Pennivendolo segnala il link. Poi però basta...

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=362137

giovedì 25 giugno 2009

La sottile linea del confine


Tanto per alleggerire (si fa per dire) i temi political-barbosi che sto trattando in questo periodo, vi propongo un articolo che ho scritto qualche mese fa per il quotidiano online dell'Università Cattolica. Che senso può avere riproporre un pezzo a distanza di mesi? Le notizie invecchiano, no?
Sicuramente si, ma alcune sono come il vino buono: con il tempo migliorano. L'idea di riproporre questo pezzo è nata parlando con una collega alle prese con un articolo sui 20 dalla caduta del muro di Berlino, così mi sono chiesto che senso può avere alla fine del primo decennio del nuovo millennio prlare di confini. Nell'articolo compaiono le dichiarazioni di Predrag Matvejević, scrittore slavo naturalizzato italiano nonché esperto europeista, messe a confronto con quanto uscito dalle discussioni italo-israeliane tra Abraham Yehoshua (אברהם ב. יהושע) e Claudio Magris.
A seguire il link:

http://www.magcity.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=8422

God save the Queen


Uffa che barba. A distanza di nemmeno quattro ore dalla pubblicazione del link contenente la lettera aperta di Cossiga, mi sono imbattuto in un commento firmato da John Lloyd, editor del Financial Times, pubblicato da Repubblica. Mi è preso un pizzico di sconforto pensando alla situazione politica britannica di questi giorni, ai trascorsi di cui parla Cossiga nella sua lettera rispetto a quanto scriva Lloyd. E pensare che ero tornato estasiato da una discussione proposta al Festival del Giornalismo di Perugia tra Lloyd e Gianni Riotta. Peccato, adesso ci fanno la predica da oltremanica...
Dio Salvi la Regina (e magari anche i Labour)

A seguire il link dell'intervento dell'editor del Financial Times
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/06/24/se-in-inghilterra-il-primo-ministro.html


mercoledì 24 giugno 2009

E se Cossiga avesse ragione?


Per chi non avesse avuto l'occasione di leggerla, pubblico il link della lettara inviata dal presidente emerito Francesco Cossiga al Corriere della Sera. E se il picconatore avesse ragione anche questa volta?

http://www.corriere.it/politica/09_giugno_22/cossiga_lettera_aperta_berlusconi_147b1e22-5ef1-11de-bd53-00144f02aabc.shtml

La bastonata dopo la scelta. Coraggio a chi ci mette la faccia


Bavaglio e divieto di scelta di una linea editoriale. E' subito una questione di berlina pubblica: basta sganciarsi dal pensiero benpensante per un attimo ed ecco che da autorevoli giornalisti si finisce nel tritacarne della spazzatura informativa. Augusto Minzolini è stato coraggioso. E' o non è il direttore del primo Tg nazionale? E' o non è il direttore di una testata giornalistica statale? La risposta è sì. Direttore, colui che dirige e sceglie la linea editoriale. Servo del potere? Perché no, in fondo non dimentichiamoci quel simpatico balletto che si chiama lottizzazione Rai, ma di fatto un direttore deve essere libero di dire quello che ha detto Minzolini, libero per una volta di dividere il gossip dall'informazione politica, scindere il pettegolezzo dal servizio pubblico. Qui non si tratta di inchiodare Berlusconi con la testimonianza di una squillo di lusso, per quello stanno già lavorando alacremente i magistrati baresi, qui si tratta per una buona volta di fare marcia indietro per ricercare quella dignità che la professione giornalistica sta perdendo dietro all'ennesimo bel fondoschiena che ha varcato il portone di Palazzo Grazioli. Il Tg1 ha scelto di dedicare maggiore spazio alla questione iraniana rendendo grazie al bel lavoro svolto da Tiziana Ferrario da Teheran, piuttosto che entrare in merito all'ennesimo scandalo gossipparo legato al Premier. E non si tratta di malafede. Altrimenti Minzolini non ci avrebbe messo la faccia. Io non ci trovo nulla di male, tanto per soddisfare la sete di scandalo pepato ci sono già le pagine di illustri quotidiani italiani.
Resta un elemento a lasciarci però ancora un poco nel dubbio. L'articolo 6, comma 2, del regolamento deontologico giornalistico afferma che "La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica". Letto così c'è poco da fare: al momento non c'è un capo d'accusa per Berlusconi e, che se ne voglia, queste non sono certo informazioni che minano la governabilità (fino a un coinvolgimento diretto da parte della procura), ergo la scelta di Minzolini rientra nei binari deontologici. Resta però leggittima la posizione di coloro che invece ritengono indispensabili e fondamentali questo genere di informazioni. Posizione sacrosanta da cui mi dissocio (sintono che ancora una volta la deontologia la si può leggere anche al contrario, al buio e sott'acqua che tanto...).
A questo punto è un altro il tema che andrei a sondare. Un punto che, a mio modesto parere, dovrebbe essere la vera materia d'indagine e di critica dei giornalisti d'assalto che inchiostrano pagine su pagine con la questione barese. Se ricordate la vera contraddizione è che questo governo ha varato un ddl rivoluzionario che dal 1958 (Legge Merlin) per la prima volta riapre la discussione sul tema della prostituzione, e adesso il Premier firmatario dello stesso si ritrova nel mezzo di una bufera legata a squillo di lusso (ammesso che sia tutto vero e che i pm vadano a fondo nella questione). Il succo del ddl parla chiaro: prostituirsi continuerà a non essere reato ma sarà vietato farlo per strada. E chi trasgredisce, professioniste e clienti, potrà essere punito anche con l'arresto. Dove voglio arrivare? Se la brama di scavare in questi meandri turpi fatti di cosce al vento e seni al silicone è troppo forte per alcuni cronisti, questi abbiano almeno il buon gusto di trovare dei temi accattivanti che quantomeno possano sembrare argomento di approfondimento giornalistico e non l'ennesimo pettegolezzo della suocera. Io ve ne ho indicato uno, ma non apettate che vi dia altri spunti. Buon lavoro.

domenica 21 giugno 2009

Siamo consci del concetto di provocazione?


Si è parlato molto sui giornali recentemente del significato profondo della "provocazione"in arte. Un atto, una parola, un concetto che certamente non ha la presunzione, almeno nell'arte, di definire la metria stessa di cui si sta parlando, ma piuttosto di creare una cornice aggiuntiva a quella già apposta dall'arftista all'opera stessa. Un surplus insomma. Per dirla in termini metafisici potrei azzardare che io non sono il mio volto, nemmeno i miei gesti. Sono loro che hanno scelto me per manifestarsi. Una visione hideggeriana dell'arte ci porterebbe quindi a coglliere quello spirito provocatorio come essenza stessa dell'atto artistico. L'arte non è il risultato ma l'atto che ci porta al definitivo valore. Probabile? Lascerei però ad altri la risposta e tornerei a fare il giornalista.
Sfogliando del materiale sulla cara Biennale veneziana ho colto invece un astio generalizzato verso la vena irriverente della provocazione, quello sberleffo al pudore tanto caro a De Sade che pone l'uomo in una biunivoca dipendenza dallo sconcio, al volgare o al grottesco come se non potesse farne a meno. Siamo umani mica divini. E quindi la laguna abbonda di manichini annegati, specchi rotti (notoriamente riconosciuti come portatori di sfiga), ai porno deliri di Paul McCarthy (da non confondere con il Beatle Paul McCartney).
Senza però andare a ravanare negli antri oscuri dell'arsenale veneziano, nella tranquilla Crema un giovane artista si è visto censurare una sua opera d'arte inserita nella kermesse culturale della cittadina lombarda perché irrispettosa e provocatoria. Il quadro si spiega da sé (vedi fotografia pubblicata), e buon gusto a parte, il Pennivendolo sposterebbe la sua attenzione verso un concetto ben preciso della questione: la provocazione appunto.
E' chiaro che il giovane artista ha compiuto un mero atto provocatorio con la stesura di questo lavoro, ma appunto perché un individuo è conscio del fatto che il proprio operato va a urtare contro quelli che vengono definiti poteri forti, allora perché non dovrebbe aspettarsi una reazione dura e decisa dagli stessi poteri che si è voluto attaccare? Supponiamo che nessuno avesse detto nulla davanti a questo ritratto del prete sporcaccione, allora vorrebbe dire che non ci si troverebbe alle prese con una provocazione ma con una normale situazione dentro le righe imposte dai poteri. E invece no! Qualcuno si è arrabbiato, e non poco, ed è arrivato a usare il malefico mezzo della censura. Quindi l'atto provocatorio è servito a ciò per cui è stato creato, scuotere le coscienze. Ma c'è dell'altro: il semplice fatto che io, come molti altri, stiano ancora parlando di questa vicenda è di per se una vittoria per Nemo (l'artista). Non si tratta di una condivisione di valori trasportati dentro al quadro (dai quali mi dissocio completamente), quelli li si lascia all'individualità dello spettatore, il discorso è fondato al limite della filologia e della logica del linguaggio. Quindi forza Nemo, coraggio, ti hanno censurato, ma hai ottenuto comunque un successo. La provocazione quindi ha bisogno di un apparato di regole ben precise contro cui scagliarsi, di una rete da cui fuggire. Un modno anarchico ci priverebbe del gusto della trasgressione perché non ci sarebbero regole da infrangere. E' qui che nasce la provocazione: la consapevolezza di essersi messi contro i poteri forti. Però attenzione: dietro questo atto volontario c'è la possibilità di essere bastonati, ma si sa, per poter vincere alto sul tappeto verde occorre rischiare tanto.
Non basta quindi giocare a fare i rivoluzionari per poi lagnarsi perché qualcuno risponde ai vostri atti d'accusa a colpi di mannaia e manganello. Non è che così che funziona. Segliere la via provocatoria è spesso cosa difficile, un atto che per non rimanere fine a se stesso deve denotare preparazione, studio e fede nella causa lanciata dal provocatore, altrimenti è meglio lasciar perdere.

martedì 9 giugno 2009

Travi e pagluzze a confronto


“Perché osservi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non scorgi la trave, che è nell’occhio tuo? E come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, permetti che io ti levi la pagliuzza che è nell’occhio», non vedendo la trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita! Leva prima la trave dal tuo occhio; ed allora vedrai di togliere la pagliuzza, che è nell’occhio del tuo fratello”.
(Matteo, 7, 1-5)

Franceschini è cattolico? Chissenefrega, anche se non lo fosse non credo che questo passo del vangelo di Matteo sia per lui cosa nuova. Nella conferenza stampa del post disastro elettorale democratico il segretario ha pronunciato le seguenti parole: "Abbiamo raggiunto due obiettivi: la conferma del progetto del Pd e lo stop delle destre". Ma c'è dell'altro: "il governo è minoranza nel paese" e aggiunge "è svanito il mito dell'invincibilità di Berlusconi".
Che il Pdl non abbia sfondato quel muro d'invincibilità siglato dal 40% delle preferenze è vero, si è fermato "solo" al 35,3%, consacrandosi, che piaccia o meno, comunque
il partito italiano di maggioranza assoluta, (l'ipotetico 40% avrebbe significato vero e proprio record da memoria democristiana, rendiamocene conto). Che il Pennivendolo non simpatizzi per piazza del Nazzareno è cosa chiara e arcinota, ma qui ci troviamo proprio a cavallo della pura cecità politica. Come è possibile andare ad attaccare questo presunto insuccesso berlusconiano a monte di un disastro fisso al 26,1% che in altre cifre si traduce nella perdita di ben 4,1 milioni di voti rispetto alle politiche del 2008 e 2,1 milioni rispetto alle europee del 2004. Per non parlare dello scenario post atomico lasciato dalle sinistre europee: me lo vuole spiegare Franceschini che destra pensa di avere fermato? Booh... A Strasburgo, nelle file del Pse, c'è gente che si strappa i capelli e qui in Italia si festeggia per avere fermato la destra.
Per fortuna nel Pd c'è qualcuno che il politico lo sa fare e bene. Grazie a dio, perché un'opposizione forte è la garanzia del funzionamento democratico, peccato che questa non sia né opposizione né forte. Mentre Franceschini cerca le pagliuzze altrui, Bersani, lapidario ha affittato un carro attrezzi per levargli la trave dall'occhio: "Il Pd non è morto. Anzi, visti i risultati, è al mondo. Ma bisogna anche dire che non va bene così". Qui non si tratta di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma rimboccarsi le maniche e capire perché in Italia (le amministrative parlano da sole) e in Europa soprattutto, la ricetta progressista non sembra più andare di moda.
Qualcosa deve essere cambiato e ciò è fuori dubbio. Il Pennivendolo la pensa come Prodi, ci sono pagine che devono essere girate. Volti da sostituire, elettorato frammentato e la concorrenza di tanti moscerini della sinistra radicale: urge un intervento di polso (e il boom di preferenze di Debora Serracchiani non è un caso). Massimo D'Alema, uno dei più critici del Pd, ha dichiarato che rispetterà la tregua, mentre Fioroni gli lancia frecciatine quasi a voler prendere le difese del segretario prima ancora si sia scatenato l'inferno. Bersani dalla sua invece è iperattivo e si muove contattando febbrilmente personaggi come Goffredo Bettini ed Enrico Letta; che nell'aria non ci sia sul serio voglia di cambiare? Ricordo che Veltroni se ne andò dopo un insuccesso di proporzioni ben più contenute, anzi. Franceschini che farà?
Perché l'astensionismo non è scusa buona per tutti. I sondaggi di Renato Mannheimer parlano chiaro: i voti persi dal Pd sono stati andati a qualcun'altro e non sono rimasti nel buio dell'astensionismo.

lunedì 8 giugno 2009

La pagella elettorale del Pennivendolo


Alla luce dello spoglio delle urne elettorali urgono tre considerazioni portanti. Il Pdl ha vinto ma non come si aspettava, il Pd è alla frutta, la sinistra moderata europea incarnata nel Pse è praticamente alla deriva. Sono tre osservazioni oggettive, non faziose, che devono fare riflettere sulla tendenza continentale d'abbandono delle tesi neo-labour di matrice blairiana o relativiste zapateriane, a scapito della crescita dei partiti del "mal di pancia", quei partiti che rispondono alla base elettorale con lo stesso linguaggio, portando la discussione politica al livello del cittadino e non viceversa: mi riferisco in particolare all'Italia dei valori di Di Pietro e alla corazzata della Lega Nord. Ma andiamo con ordine. Dicevamo che il Pdl si è dovuto "accontentare" di un 35% contro lo sfondamento del muro del 40% che si predicava prima della chiamata alle urne. Ignazio La Russa un'idea se l'è fatta (e purtroppo non si taglierà il pizzetto come promesso), ovvero probabilmente il cavaliere ha sbagliato a spingere così tannto la Lega Nord con le recenti promesse del governatorato del Veneto e l'appoggio per Podestà alla provincia di Milano. Altri sostengono che l'onda lunga del caso Noemi non si sia ancora esaurita e che un ulteriore calo di consenso arriverà più avanti. Veline, tettine e chiappette a parte, il Pennivendolo sostiene che il complice della calata di consenso è stato l'astensionismo: in Italia hanno votato 66,5% contro il 73,1% del 2004, segno che la coscienza d'appartenenza continentale non è porprio forte tra noi italiani.
Vuoi la morsa dell'astensionismo, che si sa penalizza i grandi partiti a scpito di quelli degli incazzati cronici (Di Pietro e Bossi li avete mai visti felici una volta?), unito all'annunciata mancanza di leadership franceschiniana, il Pd invece è franato rovinosmante sotto il fantomatico muro del 28%, ipotetica garanzia della sopravvivenza del partito. 26,13% è proprio un brutto numero per Franceschini & co. che già ieri, a urne ancora chiuse, già erano riuniti per decidere le linee per il futuro del Pd. C'è un elemento che deve fare riflettere: sebbene la campagna elettorale sia stata disastrosa dal punto di vista politico, tanto che Napolitano non ha mancato di farlo notare più di una volta, il Pd un programma dettagliato per le europee lo ha redatto. E questo deve proprio far infuriare l'elettorato democratico. Perché? Ma è chiaro. Scusate, il Pdl non ha nemmeno stilato un programma dettagliato se non riproponendo l'adesione al Ppe, mentre il Pd si è preso la briga di lavorare a un progetto (più o meno condivisibile, ma non è questo il punto) per poi nasconderlo accuratamente nel cassetto e fare campagna elettorale sulle tette delle amichette del premier. E' una verità che non mi spiego, ma anziché allontanrsi dal gossip che si mangia la politica, Franceschini ci ha sguazzato dentro alla grande. A parere del Pennivendolo questo è stato un enorme errore politico. Per scoprire che il Pd aveva un programma proprio sono dovuto andare a cercare sul sito e frugare nei suoi meandri telematici, come se si vergognassero di questo lodevole strumento politico.
Quello del Pd non è un caso sporadico: le grandi sinistre europee sono letteralmente a pezzi. Dopo che Zapatero ha nscosto alla non più cattolicissima Spagna la crisi economica e la stessa non più cattolicissima Spagna ha scoperto che il tasso disoccupazione è schizzato al 18%, insomma ai non più cattolicissimi spagnoli sono girati i maroni. Ma cambiamo aria: nella plumbea City, Gordon Brown, se non farà le valigie da solo, presto gliele faranno fare. Mentre la nave britannica affonda, il comandante laburista (Brown) si è incatenato al timone pensando di essere ancora ai tempi della battaglia di Traflgar, mentre tutti i suoi ministri, come topi, abbandonano il vascello, lui crolla nella pancia del mare. Mah, onore a Brown che poi colpe non ne ha più di tante. Questo significa però l'avanzata in Gran Bretagna di un vero e prorpio partito neofascista e la riconsegna futura dello scettro del consenso ai Tories. Ma non è finita, sarebbe troppo bello. Sono giorni che si parla dell'Olanda di Wilders, simbolo di una destra xenofoba e anti islamica (Wilders ha definito il Corano come il Mein Kampf) che si è affermato come seconda forza politica dopo che nel paese delle canne libere e delle prostitute in vetrina sono arrivati i muezzin a coprire il rumore delle birrerie e degli zoccoli di legno. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Avete creato un'apartahid culturale frutto di un'immigrazione indiscriminata? Adesso cuccatevi l'ossigenato Wilders. Chissà la faccia di Martin Schultz, segretario del Pse...

Tanto per farvi un'idea: a seguire c'è il link del sito del Ministero dell'Interno dove potete attingere a qualsiasi dato elettorale
http://elezioni.interno.it/

venerdì 5 giugno 2009

Ma la fama internazionale non è cosa nuova

Le Figaro ha scritto di Caravaggio lo scorso 28 maggio(vedi post precedente), ma se la memoria non tradisce, la nostra cittadella è stata ancora più ombelico del mondo quando nell'aprile del 2008 El Pais ed El Mundo gettarono del fango sulla nomea del nostro comune definendoci "la città più xenofoba d'Italia". Nel mezzo della bufera mediatica che si catenò intorno al caso, il sindaco Giuseppe Prevedini rilasciò un'intervista a Giuseppe Cruciani su Radio24 dentro il programma radiofonico La Zanzara. Qui sotto la possibilità di riascoltare il sindaco di Carvaggio ai microfoni di Radio24, l'intervento è al minuto 49 della trasmissione. Occorre seguire il link al sito di Radio24, premere ascolta e infine spostarsi sul minuto 49 della trasmissione.
http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?articolo=casta-caravaggio-xenofobia-08-04-2008.xml

Siamo l'ombelico del mondo


Siamo solamente 15mila, o forse nemmeno, siamo famosi per aver dato i natali al maestro Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (o forse nemmeno quello), abbiamo un gran bel santuario mariano e adesso siamo sulle pagine de Le Figaro. Non importa se la festa del paese cade in una data talmente sfigata che nessuno la festeggia (il 9 agosto sono tutti al mare e dei Santi Fermo e Rustico ci si dimentica al volo), Caravaggio è come l'ombelico del mondo. Già ma non di un mondo globale, bensì di un mondo a tinte verde smeraldo che si riflette nel sole delle alpi. Insomma merito dell'amministrazione leghista caravaggina che sorprende i transalpini al punto da spingerli a mandare nel comune della bassa bergamsca un inviato speciale per raccontare cosa significhi essere amministrati dalla Lega Nord. Il senatore Ettore Pirovano prima, Giuseppe Prevedini poi, questa la dinastia leghista a Caravaggio, a poche ore dalle elezioni provinciali ed europee, ecco il bilancio redatto dal prestigioso quotidiano francese.

Pennivendolo si, ma non bugiardo: seguite il link qui sotto e buona lettura

http://www.lefigaro.fr/international/2009/05/28/01003-20090528ARTFIG00366-la-ligue-du-nord-deploie-sa-politique-securitaire-.php

Per i meno abili con il francese, qui sotto pubblico una traduzione molto ruspante redatta di mio pugno:

LA LEGA NORD SCHIERA LA SUA POLITICA DI SICUREZZA
Dall'inviato speciale a Caravaggio, R.H.

Telecamere di videosorveglianza, ronde cittadine, l'ordine di bloccare i matrimoni di comodo tra extracomunitari ... La piccola cittadina della provincia di Bergamo che ha dato il suo nome al famoso pittore, non sembra lesinare su come andare a caccia di ospiti "indesiderati".

"Cercano di farci passare per dei razzisti, quando invece noi facciamo solo applicare la legge. Ridiamoci sopra piuttosto". "Non siamo intimiditi dalla confusione dei media", Ettore Pirovano sostiene che ogni immigrato ha il dovere di parlare l'italiano, se si vuole integrare nella comunità di Caravaggio.

Il Vice Sindaco, senatore della Lega Nord e candidato alla carica di presidente della Provincia di Bergamo, uomo affabile e di buona dimistichezza con la lingua francese, si difende dall'accusa di cercare di escludere gli immigrati: "Noi gli diamo l'opportunità di seguire gli stessi corsi di aiuto domestico in dialetto in modo che possano capire i nostri anziani, ad esempio".

L'uomo che ha scaturito il dilemma si chiama Abdelrahman Rafat. Questo 43 enne egiziano, sposato con un'italiana e residente da tempo in città, aveva chiesto la cittadinanza italiana. Tuttavia, davanti al sindaco non è stato in grado di pronunciare il rituale di giuramento di fedeltà alla Repubblica. "Egli ha stravolto il testo che gli ho presentato, prima che mi dicesse che non parlava altro che l'arabo. Ho dovuto rimandarlo a casa. Come può pretendere di integrarsi se non sa l'italiano? "Dice il sindaco di Caravaggio, Giuseppe Prevedini.

In campagna elettorale, il suo gesto è apprezzato dai caravaggini. "Non vogliamo che gli stranieri che non capiscono le nostre tradizioni e il nostro stile di vita", dice un pensionato locale con un forte accento, ai tavolini del Café cacciatori.

Voti record

In questa pittoresca cittadina di 16 000 persone che ha dato il suo nome al pittore Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, l'integrazione linguistica ha una rilevanza fondamentale. In Senato a Roma, la Lega ha sostenuto l'insegnamento dei dialetti nelle scuole come base per l'identità regionale basata su una Carta europea del 1992, affermando il diritto inalienabile dei popoli di parlare la loro lingua.

Silvio Berlusconi è rassicurante: il multiculturalismo non minaccerà Caravaggio. Gli immigrati rappresentano appena il 6,5% della popolazione. Nel vicino comune di Treviglio invece hanno raggiunto il 20%: "E' un comune di sinistra. Lì si accetta chiunque ", spiega Giuseppe Prevedini. Il sindaco ha avuto l'ordine di bloccare la proliferazione di matrimoni misti di comodo. I rom non possono rimanere per più di 24 ore nel territorio, mentre per quanto riguarda le prostitute, sono bandite dai marciapiede.

Per attuare questa politica di sicurezza, il Consiglio comunale ha investito parecchio. Molteplici sono state le telecamere installate: 85 di cui 12 a infrarossi e di video sorveglianza ". Le pattuglie di cittadini per la sicurezza sono state create senza l'approvazione del Parlamento: "La sicurezza è una questione culturale per il consiglio comunale", ha detto. Le associazioni locali - come i carabineri in pensione o la protezione civile e - pattugliano le strade con il telefono cellulare e il fischietto in mano".

Gli elettori apprezzano. A ogni elezione, il tasso di partecipazione ha raggiunto 89 al 90%. E in tre legislature, la Lega Nord ha aumentato il suo elettorato dal 43 al 64%. Forza Italia, prima della sua fusione con Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini, oggi presidente della Camera dei Deputati, ha ricevuto solo il 12%.

Surplus di cassa

Giuseppe Prevedini spiega questo risultato con il fatto che la Lega "è in ascolto per i cittadini." Si cita anche la sua buona gestione, uno dei principali argomenti che spiegano il successo del suo partito in tutta l'Italia settentrionale. Nel comune le tasse di proprietà non superano il 3,7% - uno dei più bassi in Italia. E la tesoreria ha generato lo scorso anno un surplus di cassa di 1,53 euro ... con un budget di 23 milioni di euro: "Questa è la prova che sappiamo controllare le entrate e le spese su base giornaliera".

La città porta i segni di questa gestione. Le strade sono pulite, il pavimento rifatto da zero. Un bel viale alberato porta alla Basilica di Santa Maria del Fonte, imponente santuario mariano del tardo gotico lombardo attirare due milioni e mezzo di turisti l'anno. E vicino al municipio ospitato in un bellissimo palazzo del XIX, una stanza è munita di un museo dedicato a Caravaggio, il bambino prodigio del paese. Le tre scene della vita di San Matteo, decorazione della chiesa di San Luigi dei francesi a Roma sarà "clonato" da una riproduzione in video-stampa.

Il 7 giugno, il sindaco si aspetta che gli elettori confermino la forza della Lega in provincia: "Noi siamo onorati di aver ridato ai nostri cittadini la loro dignità (traduzione non precisa)".

lunedì 25 maggio 2009

Mezzi di distrazione di massa


Il premier dovrà rispondere alle 10 domande di D'avanzo riguardo la questione di Noemi Letizia. Il mondo politico vuole la verità! "Che venga in parlamento!". Di Pietro minaccia una mozione di sfiducia verso Berlusconi, altri chiosano il ritrito "Si dimetta!". Fantapolitica. Mentre l'opinioone pubblica viene pilotata dietro alle belle gambe della sedicente diciottenne napoletana, qualcuno ha ancora la benché minima idea di cosa stia facendo l'esecutivo? Una domanda scomoda, ma calzante a pennello per coloro che sostengono la tesi dei complotti. Nel mezzo di questa bufera tutta italiana, si sta perdendo di mira l'elemento fondante della democrazia: il vero diritto di informazione. Magari ai più interessa sapere chi va a letto con chi, o chi ha palpottato chi, ma a qualcun'altro, come il vostro Pennivendolo, interesserebbe andare a fondo di ben altre situazioni.

Appurato che sul caso Mills più nessuno ha trovato nulla di nuovo e interessante da dire si è ritornati alla festa napoletana e alle abitudini sessual-maniache del premier. Se questa non è una mossa di disinformazione di massa, allora che cos'è?

Ma lo sapevate che si sta valutando la riduzione del numero dei parlamentari? Magari sì, magari no. Ma lo sapevate che il Ministero dell'economia sta valutando la tanto agognata riforma delle pensioni? Magari sì, magari no. Ma lo sapevate cosa significherebbe in termini occupazionali la scalata di Fiat a Opel? Magari sì, magari no. Insomma, se qualcuno sa rispondere a queste domande, allora ritiro la provocazione, ma siccome sostengo che siano di più coloro che conoscono la taglia di reggiseno di Noemi Letizia, piuttosto che quel che sarà del proprio posto di lavoro o delle prospettive lavorative dei figli, allora è il caso di riportare l'attenzione sotto il corretto occhio di bue. Dimenticavo: L'Aquila è già stata ricostruita o ce ne siamo bellamente dimenticati?

Che la minigonna sia allettante, soprattutto se si tratta di quella di Noemi Letizia, attenzione a non cadere in fallo (perdonate il gioco di parole, ma non ho resistito): la minigonna deve attrarre ma non distrarre.

mercoledì 20 maggio 2009

Torino 3: L'indignato speciale


Mentre al Lingotto va in scena la kermesse internazionale di quesi fascicoli di carta stampata racchiusi tra due copertine, il cui nome non ricordo, in piazza Carlo Alberto Mediaset festeggia il traguardo del digitale terrestre in Piemonte. Amici e Grandi Fratelli hanno esibito tette, culi e cosce danzanti. I due volti dell'Italia, l'intellettuale e la magnacciona racchiusi nella stessa città. Sopra l'idilio fraterno del radical chic al Lingotto e il tamarro di periferia in centro ci spruzziamo una spolveratina di studenti incazzati e bellicosi, una rissa tra metalmeccanici e infine il corteo dei nostri amici diversamente eterosessuali. Torino è il nuovo ombelico del mondo. Avanti Savoia!

Torino 2: L'amore, l'angoscia, la guerra e la famiglia viste con gli occhi dell'Altro


Piace proprio a tutti, anche a quelli che un suo libro non l'hanno mai letto. Le due casalinghe di Voghera sedute in spasmodica attesa del suo arrivo nella sala dei "500" commentano "che uomini così non ce ne sono più", dispiace per i loro mariti. David Grossman ha conquistato i cuori dei visitatori della Fiera del libro a prescindere dal fatto che siano o meno suoi lettori. Argume e dolcezza, un pugno al cuore sferrato con un sorriso, questo è Grossman. E' passato un anno dalla pubblicazione italiana del suo ultimo romanzo A un cerbiatto somiglia il mio amore edito da Mondadori e i tempi sono maturi per tirare le somme: "A un anno di distanza ho raccolto reazioni, informazioni e commenti su questo libro - spiega lo scrittore israeliano -; sono rimasto sorpreso come il pubblico italiano si sia esposto emotivamente alla stratificazione di temi di cui il romanzo è permeato. Temi che per altro ritenevo prettamente legati alla realtà israeliana e che invece sono stati accolti come interrogativi universali". Il rapporto uomo donna, madre e figlio, la guerra, la diffidenza verso il diverso e la tragedia arabo israeliana. Scorrendo le pagine del romanzo ce n'è per tutti i piani di lettura: Orah, la protagonista, rapirebbe il cuore di qualsasi madre, così come Ofer incarnerebbe l'ambizione di ogni figlio e Avram il tormento dell'innamorato. Forse è proprio l'alchimia di sincerità dei personaggi il segreto del successo di Grossman. "Quando scrivo i personaggi che creo sono sinceri perché io entro in vera intimità con loro - continua Grossman -; poi il libro esce e, a distanza di tempo, mi accorgo attraverso i lettori che si svelano sottigliezze e sfaccettature delle quali ero inconsapevole. Se durante la stesura c'è l'intimità con il personaggio, è solo il lettore che in un secondo tempo mi rivela veramente ciò che ho creato". Una tesi che è anche la chiave di lettura del libro. "Sei tu che mi stai rivelando qualcosa che avrei dovuto sapere" dice Avram a Orah nel flashback iniziale del racconto. A un cerbiatto somiglia il mio amore è un romanzo di viaggio, dove il tema dell'homo viator è strumento per fuggire da una possibile cattiva notizia. Ofer, il figlio di Orah, è al fronte impegnato in una delicata operazione militare, così la madre fugge per tutto il periodo di ferma del figlio dalla possibilità di ricevere la notizia della sua morte. "In Isreale c'è un cerimoniale particolare per comunicare la morte di un soldato al fronte. Una volta accertata la notizia, gli impiegati dell'esercito si impegnano a raggiungere le famiglie a qualsiasi ora del giorno e della notte - spiega Grossman -, così Orah crede, con un pizzico di magia e misticismo, che se non si presenterà a ricevere la notizia, allora non può suceedere nulla di male a Ofer". E Grossman lo sa bene cosa vuol dire ricevere la notizia della perdita di un caro in guerra: nel 2006 durante l'invasione del Libano, lo scrittore israeliano ha perso il suo secondogenito Uri di 21 anni, proprio mentre completava la stesura di A un cerbiatto somiglia il mio amore.
La fuga di Orah non è fine a se stessa; per esorcizzare il presagio della morte imminente del figlio, Orah ricorre a un escamotage: ne ripercorre tutta la vita passo per passo: "Questo libro è pieno di dettagli di vita quotidiana, di elementi su cui si costituisce l'entità di una famiglia, di come si mette al mondo un essere umano e degli sforzi, delle ansie necessarie per crescere un figlio - continua lo scrittore israeliano - Sapendo che il figlio è al fronte Orah lo vuole proteggere, ma come ? Raccontando la storia di Ofer. I genitori fanno di tutto per i propri figli, tutto ciò che si reputa indispensabile e si insinua continuamente il pensiero che tutto ciò che si fa lo sia fa per il loro bene. Così si ha la consapevolezza che a loro non può succedere nulla. Quando lo schermo protettivo di Ofer cade, a Orah non rimane che raccontare la sua storia per continuare a proteggere il ragzazzo".
Scorrendo la produzione letteraria di Grossman colpisce la maniacale precisione con cui lo scrittore affronta il tema della delineazione dei propri personaggi. Un'ossessione quasi, quella che sente il romanziere per la fisicità dei protagonisti, come un atto di volontà per avere la consapevolezza della loro possibile realtà: "Il corpo capisce e io posso capire con il corpo - continua l'autore israeliano -. Io scrivo in maniera fisica e sono chiamato a scoprire come si sta dentro alla pelle del mio personaggio, a capire come è fatto. Per questo devo sempre trovare qualcuno a cui il personaggio assomigli in carne e ossa per riuscire a immedesimarmi in lui. Quando scrissi Qualcuno con cui correre ricordo che ebbi difficoltà a trovare un volto per Tamara, la protagonista. Mi trovavo al centro commerciale e vidi una ragazza che mi trasmetteva tanta dolcezza quanto determinatezza, proprio come doveva essere Tamara. La guardai e, prima che si rompesse l'incanto, me ne andai dal negozio. Avevo un volto per Tamara".
L'arte della scrittura, che sia di Grossman o meno, ci deve quindi portare a confrontarci con l'Altro, entrando nella testa e nel cuore di chi ci sta davanti riconoscendone pregi e difetti: "Spesso rinunciamo a fare esperienza dell'altro per paura di immischiarci col disordine e il caos che potremmo trovare dentro di loro - siega Grossman -. Se da scrittore ponessi fine al pensiero die miei altri creati nei libri, allora scopreirei quanto poco so del mondo che mi circonda. Noi usiamo parole, ma non tutte queste sono intese dagli altri per quello che valgono ed è per questo che la scrittura ha valore, perché mi svela la realtà attraverso gli occhi degli altri".
Ascoltare David Grossman significa anche confrontarsi direttamente con la questione palestinese in maniera non convenzionale, lontano dai luoghi comuni del pacifismo di bandiera, ma toccando con mano il nodo cruciale della tragedia umana che si consuma da troppo tempo: "Uno per Israele e uno palestinese, sarebbe questa la sola e unica soluzione secondo la mia modesta idea - conclude Grossman -. Dua Stati separati da normali confini e non mura. Il nostro nuovo premier Benjamin Netanyahu sa che questa è l'unica via d'uscita dal conflitto se non si vuole finire con l'applicazione di un'apartheid causata dalla realtà di uno Stato binazionale. Barak Obama ha fatto respirare un'aria nuova in questo senso, parlando un linguaggio nuovo lontano dalla xenofobia, comunicando con empatia e solidarietà con entrambi i popoli. Domani (domenica 17 maggio ndr) Obama e Netanyahu si incontreranno e spero che il presidente americano imponga la soluzione dei due Stati perché sono certo che anche Netanyahu la voglia, solo che ha bisogno che qualcuno lo spinga. Altrimenti dovremo rassegnarci a sprofondare nell'ennesimo ciclo di violenza e sangue". E questo non lo vorremmo nemmeno noi.

martedì 19 maggio 2009

Torino 1: Pamuk e la nostalgia della verità


Basta riconoscere che la propria gloriosa nazione si sia resa responsabile di uno dei più efferati genocidi della storia per essere messi alla berlina. La storia del segreto di pulcinella, ma se a puntare il dito contro lo Stato è un premio nobel, la questione si complica. Fa male, molto male, soprattutto se in palio c'è l'ingresso nell'Unione Europea. Orhan Pamuk è di nuovo nel mirino della magistratura turca per le sue affermazioni sullo sterminio armeno. Una notizia che il nobel turco ha ricevuto mentre si preparava a incontrare i visitatori della Fiera internalzionale del libro a Torino sabato pomeriggio. Ma si sa, Pamuk è un signore sotto tutti i punti di vista, un intellettuale vero, a tutto tondo, che davanti a una platea di 500 persone ha liquidato la questione con un diplomatico "Non penso che sia poi così importante, inoltre la sentenza non è chiara. Tutti in Turchia sostengono che la giustizia si stia piegando alla politica, dimenticando che la giustizia è la garanzia per la libertà di parola. Ma alla fine sono qui per una conversazione letteraria". E allora parlaimo di letteratura con Pamuk, o meglio, ascoltiamo.
Per uno scrittore di fama internazionale l'apice del successo si chiama Nobel, ma come si arriva a questo traguardo? E' tutto un caso? "Ci sono due tipi di scrittori - spiega Pamuk -C'è chi legge tantissimo e chi invece scrive per la necessità di esprimersi. Come dicono gli insegnanti, chi legge è portato a scrivere meglio, tuttavia la lettura non è una garanzia. La letteratura è talento, è rabbia, è qualcosa contro cui non si può fare a meno di combattere ogni giorno". Lo scrittore turco appartiene alla categoria dei talentuosi che leggono moltissimo, prova ne è il suo appartamento di Istambul trasformato in una vera e propria biblioteca personalizzata: "Dai 16 ai 33 anni posso dire di essermi forgiato leggendo i libri di altri, il modo migliore per cambiare il modo di vedere il mondo - continua il premio nobel - L'altra possibilità è quella di leggere come passatempo: si legge ma non si cambia, non accade nulla di profondo. Ma la lettura può essere davvero forgiante se affrontata in modo radicale. Un libro ha una potenza esplosiva, si pensi al giovane lettore che si accorge che la propria vita è in pieno cambiamento attraverso la lettura".
Come tutti i grandi, anche Orhan Pamuk ha un proprio pantheon intellettuale a cui è devoto. Dostoevskij, Tolstoj, Mann e Proust sono l'empireo per lo scrittore turco, ma uno spicchio di gloria si può ritagliare anche per alcuni autori italiani: "Calvino si è fortemente radicato in me; lui rappresenta un tramite per osservare il mondo, ma anche Manzoni, Gadda ed Eco sono autori che mi hanno fomrato. Soprattutto Gadda, insieme a Borges, mi ha suggerito la chiave di lettura del romanzo poliziesco, dove tutto è poco chiaro e la chiave risolutiva è da cercare in profondità, come se queste opere si prestassero a scovare qualcosa di misterioso nel mondo. E lo stesso vale per il romanzo di formazione tedesco".
Le opere di Pamuk sono pubblicate in Italia da Einaudi, l'ultimo suo libro Altri colori. Vita, arte, libri e città, è da poco sugli scaffali delle librerie, ma lo scrittore turco è famoso in Italia per altri due romanzi Istambul e Neve: "La Istambul di cui parlo non è quella odierna, si tratta di una città che appartiene alla mia nostalgia, è una città molto più simile ai centri poveri dell'entroterra dell'Anatolia. Ne racconto il modo di vivere come in una foto in bianco e nero - spiega l'autore - in questo c'è una nostalgia particolare, quasi regolata da una sorta di filosofia o di etica, cercando di trarre una lezione di vita lontana dal successo, ma attraverso il misticismo islmaico, nel rispetto di tutto e di tutti accantonando la soggettività. Le giovani classi dirigenti sostengono che la Istambul di cui parlo non gli appartiene, infatti la città che dipingo è la mia Istambul, colma del suo carico di malinconia, lontana dai grandi cambiamenti degli ultimi anni".
La ricerca di Pamuk ha trovato fortuna anche allontanadosi da Istambul, penetrando nel cuore dell'Anatolia, aprendo le porte di Kars, la città dove viene ambientato Neve, il romanzo che svela la svolta dell'impegno civico e politico dello scrittore turco. "L'idea di un romanzo politico risale ai tempi dell'università. Ho rivalutato l'idea quando mi sono prefissato di descrivere gli effetti della rivoluzione iraniana in Turchia, così è nato Neve - spiega Pamuk - avevo la storia ma ancora cercavo un luogo per ambientarla, così cercai un luogo isolato e coperto di neve (quella neve che nel romanzo è la barriera prima dell'isolamento di Kars ndr) e mi recai a Kars, una città attraente per la sua nostalgica malinconia. Lì non conoscevo nessuno inoltre c'era la guerra con i separatisti curdi, così sfruttai l'aggancio come giornalista per raccogliere le informazioni su quel luogo, riuscendo nell'intento di raccontando il vero entrando nel cuore del lettore". L'islam, l'amore, la guerra, Neve è tutto ciò, quasi un luogo stereotipato ma vero che raccoglie e racconta la Turchia di Orhan Pamuk.

venerdì 15 maggio 2009

Dentro la storia dell'editoria


Un secolo e mezzo di storia dell’editoria italiana è entrata nelle aule dell’Università Cattolica grazie a Zanichelli e il Laboratorio di editoria del professor Roberto Cicala. A confrontarsi con gli studenti è stato Federico Enriques, amministratore delegato della celebre casa editrice bolognese che, proprio quest’anno, festeggia 150 anni dalla fondazione. Un incontro molto particolare che mette a confronto l’eccellenza dell’editoria nostrana con i futuri operatori del settore alle prese con la prima pubblicazione realizzata da loro, il volume Quo vadis libro?, l’ottavo fascicolo della collana di testi sull’editoria ideata da Laboratorio del professor Cicala. L’incontro, mediato dallo stesso Cicala, ha esplorato i segreti del successo di Zanichelli trasformando l’occasione in una lezione aperta con gli studenti. In concomitanza con l’evento in Cattolica, Enriques ha anche presentato il suo ultimo libro Castelli di Carte. Il volume non è la consueta storia dell'editoria libraria, bensì è un racconto scritto dall’interno della realtà editoriale, puntando l’attenzione, oltre che alle opere, soprattutto alle persone, alle tecniche, all’organizzazione, insomma a quanto succede dietro le quinte di una casa editrice. In mezzo a questa bufera di libri presentati, di editori, aspiranti scrittori e studenti è logico che sorga un interrogativo? Ma qual è il futuro del libro? Già perché un libro non è solo testo; un libro è anche paratesto, è frutto di un fine lavoro produttivo di squadra. C’è chi sostiene che il giorno in cui morirà il libro morirà anche la nostra civiltà, sarà poi vero? A queste domande ha provato a rispondere Federico Enriques.
“Leggendo i giornali si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’eruzione vesuviana che cancellerà la Pompei dell’editoria libraria, così il mio libro cerca di fermarsi al giorno prima che avvenga questa ipotetica fine – ha spiegato Enriques –. C’è una diatriba tra i sostenitori del libro elettronico e quello di carta, ma sull’argomento è facile dire sciocchezze, proprio perché è impossibile fare previsioni sul futuro sviluppo della tecnologia. Il libro è come un mezzo di trasporto: provate a chiedere a un costruttore del passato se mai avesse pensato lo sviluppo tecnologico odierno?”. La risposta è chiaramente no. Le voci sul destino dell’editoria sono varie e avariate, ma come ricorda Enriques “bisogna stare alle cose concrete. Inutile attaccarsi alla visione hegeliana della scrittura come passo della storia dell’umanità, ma nemmeno cedere a idealismi platonici come chi sostiene che il libro non morirà mai perché qualcuno sostiene di amare la sensazione della carta sulle dita. Dentro a un libro invece ci sono tante tecniche, più o meno raffinate, che servono sia al lettore ma che allo stesso tempo valorizzano la fruizione collettiva dello stesso”.
Nel corso della presentazione il professor Cicala ha sottolineato che la storia di Zanichelli si fonda sulla specificità dell’editoria scolastica e scientifica. Non a caso l’editore bolognese è stato il primo italiano a proporre la traduzione de Sull'origine delle specie per selezione naturale di Charles Darwin, piuttosto che de Sulla teoria speciale e generale della relatività di Albert Einstein. Questo è un punto molto importante, perché produrre un libro di narrativa, piuttosto che per i banchi di scuola, non è la stessa cosa. “Intanto ci sono delle differenze fisiche tra i due. Un libro scolastico non deve essere scelto tra gli scaffali di una libreria a differenza degli altri – spiega Enriques –. Inoltre i formati dei testi scolastici sono grandi, proprio per favorire una fruizione corale e la grafica è curata per guidare all’individuazione di un punto preciso del testo. E poi non bisogna dimenticare che questi libri sono il frutto di una lavoro di più autori, una vera e propria peculiarità”. Ma le differenze non sono tutte qua, con più ci si concentra, anche in rimando alle dinamiche di mercato, più ne emergono, svelando particolari sostanziali a cui normalmente non badiamo.
L’occasione di un ospite così prestigioso è stata colta dai ragazzi del Laboratorio di Editoria per presentare il loro ultimo lavoro, Quo vadis libro? Un volume che raccoglie circa 50 interviste a editori. Esiste davvero una crisi del libro? Di quali dimensioni? Di chi è la colpa? Quali le soluzioni? Sono queste le domande che gli studenti del Laboratorio di Editoria hanno posto a 50 editori italiani per fare luce su un settore che, come a ragione sostiene Cicala, “vive in una situazione di crisi cronica”.