domenica 21 giugno 2009

Siamo consci del concetto di provocazione?


Si è parlato molto sui giornali recentemente del significato profondo della "provocazione"in arte. Un atto, una parola, un concetto che certamente non ha la presunzione, almeno nell'arte, di definire la metria stessa di cui si sta parlando, ma piuttosto di creare una cornice aggiuntiva a quella già apposta dall'arftista all'opera stessa. Un surplus insomma. Per dirla in termini metafisici potrei azzardare che io non sono il mio volto, nemmeno i miei gesti. Sono loro che hanno scelto me per manifestarsi. Una visione hideggeriana dell'arte ci porterebbe quindi a coglliere quello spirito provocatorio come essenza stessa dell'atto artistico. L'arte non è il risultato ma l'atto che ci porta al definitivo valore. Probabile? Lascerei però ad altri la risposta e tornerei a fare il giornalista.
Sfogliando del materiale sulla cara Biennale veneziana ho colto invece un astio generalizzato verso la vena irriverente della provocazione, quello sberleffo al pudore tanto caro a De Sade che pone l'uomo in una biunivoca dipendenza dallo sconcio, al volgare o al grottesco come se non potesse farne a meno. Siamo umani mica divini. E quindi la laguna abbonda di manichini annegati, specchi rotti (notoriamente riconosciuti come portatori di sfiga), ai porno deliri di Paul McCarthy (da non confondere con il Beatle Paul McCartney).
Senza però andare a ravanare negli antri oscuri dell'arsenale veneziano, nella tranquilla Crema un giovane artista si è visto censurare una sua opera d'arte inserita nella kermesse culturale della cittadina lombarda perché irrispettosa e provocatoria. Il quadro si spiega da sé (vedi fotografia pubblicata), e buon gusto a parte, il Pennivendolo sposterebbe la sua attenzione verso un concetto ben preciso della questione: la provocazione appunto.
E' chiaro che il giovane artista ha compiuto un mero atto provocatorio con la stesura di questo lavoro, ma appunto perché un individuo è conscio del fatto che il proprio operato va a urtare contro quelli che vengono definiti poteri forti, allora perché non dovrebbe aspettarsi una reazione dura e decisa dagli stessi poteri che si è voluto attaccare? Supponiamo che nessuno avesse detto nulla davanti a questo ritratto del prete sporcaccione, allora vorrebbe dire che non ci si troverebbe alle prese con una provocazione ma con una normale situazione dentro le righe imposte dai poteri. E invece no! Qualcuno si è arrabbiato, e non poco, ed è arrivato a usare il malefico mezzo della censura. Quindi l'atto provocatorio è servito a ciò per cui è stato creato, scuotere le coscienze. Ma c'è dell'altro: il semplice fatto che io, come molti altri, stiano ancora parlando di questa vicenda è di per se una vittoria per Nemo (l'artista). Non si tratta di una condivisione di valori trasportati dentro al quadro (dai quali mi dissocio completamente), quelli li si lascia all'individualità dello spettatore, il discorso è fondato al limite della filologia e della logica del linguaggio. Quindi forza Nemo, coraggio, ti hanno censurato, ma hai ottenuto comunque un successo. La provocazione quindi ha bisogno di un apparato di regole ben precise contro cui scagliarsi, di una rete da cui fuggire. Un modno anarchico ci priverebbe del gusto della trasgressione perché non ci sarebbero regole da infrangere. E' qui che nasce la provocazione: la consapevolezza di essersi messi contro i poteri forti. Però attenzione: dietro questo atto volontario c'è la possibilità di essere bastonati, ma si sa, per poter vincere alto sul tappeto verde occorre rischiare tanto.
Non basta quindi giocare a fare i rivoluzionari per poi lagnarsi perché qualcuno risponde ai vostri atti d'accusa a colpi di mannaia e manganello. Non è che così che funziona. Segliere la via provocatoria è spesso cosa difficile, un atto che per non rimanere fine a se stesso deve denotare preparazione, studio e fede nella causa lanciata dal provocatore, altrimenti è meglio lasciar perdere.

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