martedì 24 febbraio 2009

Dream of Life, il sogno dietro la Polaroid


«Quando dico rock'n'roll non voglio dire un gruppo che suona canzoni, dico di un'intera comunità che passa per il suono, il ritmo e lo scambio di energia. Una sorta di costume. Il senso di essere insieme in qualcosa di unico. Non è una merdata hippie. Non mi interessa un mondo dove tutti cantino la la la la, ma credo che esista un futuro là dove tutti cominceremo a comunicare»

Patti Smith

Ho avuto l'onore di incontrare Patti Smith per la presentazione del film "Dream of Life"e di poterne scrivere a riguardo sul quotidiano online dell'Università cattolica. Clicca il link per leggere l'articolo http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=8589

venerdì 20 febbraio 2009

Lo senti il canto dell'apocalisse?


Cadenzare una marcia funebre senza il morto, o fingere di non essere già spacciati? La cultura occidentale si trova davanti a un bivio. Innanzi tutto occorre fare chiarezza e definire a chiare lettere cosa si intenda per cultura. C'è una sottile, ma cruciale, differenza tra i concetti di civiltà e cultura. Due termini inflazionati, spesso usati indebitamente sullo stesso piano. Ma una differenza c'è, eccome. Civiltà è uniformità diffusa su un sostrato sociale, mentre cultura è il patrimonio in cui una civiltà si riconosce e si autoafferma. Ebbene, è la cultura o la civiltà occidentale a essere incamminata sulla via del tramonto?
Senza dubbio il patrimonio consumistico, emblema della nostra civiltà, è il punto focale su cui si è giocata la dipartita corruttiva dell'occidente. I due concetti si sono slegati progressivamente causando un allontanamento della civiltà dalla cultura, un processo che ha trascinato nell'oblio anche il blasonato patrimonio della conoscenza. L'empireo dello scibile è così ancorato più a una realtà metafisica che empirica, un problema cocente che ha trasformato l'occidente nel santuario della competenza senza conoscenza.
Tutto è arte, tutto è cultura, tutto ciò che si scrive e produce è posto sullo stesso livello. L'espressione nichilista e relativista della produzione artistico-letteraria contemporanea, impregnata dell'imperativo buonista dell'equiparazione e del non giudizio, di fatto ha appiattito il concetto di cultura. E' qui che si consuma il declino. Se la civiltà americana è alle corde, e non me ne si voglia ma l'ultimo mandato di Bush ne è icona, è chiaro che anche l'intero sistema europeo ne risente brutalmente. Da think tank del mondo, ci siamo ridotti a bocca famelica che tutto accetta e tutto ingoia senza nemmeno provare a masticare.
Come uscirne? Tralasciando un discorso di fede, la tradizione religiosa, che per più di duemila anni ha preservato la sfera delle nostre conoscenze, potrebbe essere un buon punto di partenza. Ma spingendosi ancora oltre, potremmo azzardare la lettura della Critica della ragion pratica di Kant. La chiave di volta sembrerebbe essere l'estetica, o maniera, o gusto qual si voglia, nella sua accezione meno soggettivante possibile. Posti innanzi a un'opera d'arte non possiamo che giudicare, un processo innato nell'uomo. Ebbene: la via d'uscita potrebbe essere quella di intervenire radicalmente sui criteri che ci portano a definire il nostro giudizio. Perché non è vero che tutto quello che si produce è pari. Così come nelle scuole non è possibile omettere Dante e Manzoni perché troppo obsoleti. Eppure è quello che avviene in nome dell'autonomia scolastica.
Prendete un orinatoio, capovolgetelo, e otterrete una fontana. Quasi un secolo fa Marcel Duchamp aveva già intuito, insieme a tutto il Dada, cosa ci sarebbe successo. Bel gesto quello di Duchamp, ma appunto un gesto. Guardiamo dietro per andare avanti, sperando di non doverci ridurre a dover narrare le antologie funerarie di un mondo scomparso. Manco fosse un'apocalittica Spoon river...

mercoledì 18 febbraio 2009

I granatieri sardi e la breccia di porta Walter


E' finita. O meglio, è l'inizio della fine. Come la storia d'Italia insegna, l'impeto dell'incontenibile fanteria di origine sarda ha mietuto vittime sul campo di battaglia. Non si tratta del Piave o di Solferino, ma ancora una volta il valore dei sardi in battaglia ha cambiato le sorti dell'italica storia. La dipartita di Soru ha fruttato un biglietto di uscita anche per il segretario del pd, Walter Veltroni.
We can, Sepoffà... Da adesso la musica cambierà e gli slogan pure, ma dopo il transitorio Franceschini chi prenderà le redini dell'opposizione italiana? Barricate e faziosità a parte, è chiaro che in una democrazia che si rispetti il ruolo di un'opposizione soldia e forte è il coadiuvante stesso per la miglior condotta di un esecutivo. E adesso? Dalemiani contro binettiani, rutelliani in fuga, radicali in cantina e congresso alle porte. Il grande serbatoio degli scontenti, il pd, è posto davanti alla seconda crisi della sua breve e improduttiva storia. Era già crisi al tempo della fondazione, così come al tempo delle primarie bulgare che fecero sperare in un improbabile Letta. D'Alema non ha mai digerito Veltroni, mentre i teocon sono entrati in rotta di collisione con i vertici nella gestione della vicenda Englaro e i rutelliani si sono rinchiusi in uno sgabuzzino. Il pd ricorda la peggio versione delle correnti Dc.
Mai come ora deve essere chiaro che l'imperativo di lotta al berlusconismo non è una prerogativa valida su cui fondare un partito di gargantuesche proporzioni. "La verità di pulcinella", diranno i più, ma quando si trattò di andare alle urne, quando l'odore dei banchi di Montecitorio accendeva gli animi dei democrats nostrani, l'elettorato ha finto di non sapere che il vero collante di coalizione si riduceva nell'avversione al duca di Arcore.
Che dire quindi? Con Veltroni si chiude la prima fase del Pd, che probabilmente (sebbene spero di sbagliarmi) coinciderà anche con l'ultima. Che cosa dobbiamo aspettarci ? Forse la nascita prematura di Rifondazione democratica? O il ringalluzzimento della sinistra radicale?
Sarebbe un suicidio politico. Proprio perché il grande merito del timoniere fallito è stato quello di fare piazza pulita degli estremismi di sinistra che all'alba del 2009 sventolano ancora falci e martelli. Peccato, a Veltroni è andata male. Forse l'Italia non è ancora pronta per inaugurare una stagione di grandi successi laburisti. Non rimane che constatare che Berlusconi sia l'uomo sbagliato al posto giusto.

martedì 17 febbraio 2009

Guelfi e ghibellini unitevi


Potrebbe essere letta come una prova di neoguelfismo, un rigurgito clericale, l'ennesima prova di ingerenza della Chiesa nella vita di noi umili peccatori. Il caso Englaro invece ci ha dato prova del contrario. Mentre l'opinione pubblica si spaccava sulla breccia della domenicale passione calcistica, come se si potesse fare il tifo pro o contro la vita di un indigente, dalla Chiesa non sono state lanciate crociate o scomuniche, ma solo il silenzio della preghiera di compassione.
Sia chiaro che con Chiesa ci si riferisce all'istituzione e non alla grande famiglia dei fedeli che, ahimé, questa volta si sono lasciati andare all'impeto del girotondismo sotto le finestre della clinica friulana.
Il punto è proprio questo. Parole parole parole, cantava Mina. Accuse, ingiurie, prese di posizione, faziosità, rabbia... l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Ma è possibile che davanti alla sofferenza perpetuata per 17 anni ci si riduca a tanto? Un vessillo di dolore, ecco quello che è stato fatto della povera Eluana. Una bandiera da sventolare per sostenere confusionarie tesi sul valore della vita e sulla dignità della stessa, come se spettasse a noi uomini sentenziare sull'universale valore dell'esistenza. Non si tratta di ingerenza o laicità, libero arbitrio o schiavitù clericale, bensì di mero opportunismo intellettuale.
La vicenda avrebbe dovuto svegliare le coscienze di tutti, senza creare presunte rotture istituzionali o dimissioni dell'ultima ora da prestigiosi format televisivi. La Repubblica Italiana è uno stato laico e non laicista, e questo ci deve porre nell'ottica di uscire dal pantano della cronaca per poter spingere oltre lo sguardo su una questione scottante come l'interruzione volontaria delle cure. Ai giornalisti non spetta di sentenziare su cavilli medico-legali, ma prendere per mano i lettori e portarli a compiere quel giro di boa civico che conduce alla presa di coscienza della laicità dello Stato in cui viviamo. In altre parole, non è degli uomini emettere sentenze di vita o di morte sulla vita di altri uomini. E' invece degli uomini poter esercitare il grande dono fattoci da Gesù stesso: l'applicazione del libero arbitrio, giusto o sbagliato che sia. Lo stesso Cristo nell'orto degli ulivi, a poche ore dalla propria morte, venne colto dalla tentazione di rinunciare a morire per l'umanità, candendo vittima del demonio. Per fortuna nostra (e non sua) accettò il disegno del Padre, ma dove sta scritto che ognuno di noi debba sottomettersi a una prova tanto ardita?
Il Papa non ha fatto altro che pregare per l'anima di Eluana, mentre noi, idioti, ci scannavamo tra uomini dimenticando lentamente il dolore di un padre, un dramma famigliare e le sofferenze di una donna.
Probabilmente una proposta di legge sul testamento biologico ci condurrà a essere veramente padroni della nostra libertà di poter scegliere del nostro destino. Non importa come, non spetta agli uomini giudicare la scelta del singolo, ma deve essere impegno di tutti battersi per far si che l'esercizio del libero arbitrio possa essere esercitato. Così forse, cattolici e laici si prenderanno per mano come cittadini dello stesso Paese. Così dimenticheremo l'orrida visione di un paese spaccato come bande di hooligans, ai piedi del letto di morte di un'anima straziata.

sabato 14 febbraio 2009

Benvenuti


Buongiorno a tutti internauti desiderosi di informazione. Grazie per essere venuti a vedere questa pagina dal nome poco rassicurante. “Il Pennivendolo”, colui che svende la sua penna. Lo scribacchino, lo scrivano, il copista o l’amanuense che dir si voglia. Svendere la penna, ma non la carta, giocare sul filo del rasoio tra metafora e doppio senso, sperando di lambire i lidi della buona informazione. E dunque, a chi vendersi? Alla buona causa della fabbricazione di notizie. Già, avete letto bene, fabbricazione di notizie. Perché, per chi non lo sapesse, è proprio nella fucina del pennivendolo che i fatti diventano notizie. Un gioco demiurgico che dall’universalità del fatto, ci cala nella contingenza rumorosa della notizia. Un prodotto e non un dato di fatto, un artificio di verità e stile, questa è la notizia. Qui non si raccontano i fatti, qui si danno delle notizie. Il pennivendolo lavora proprio per questo.
Ma se mai qualcuno vorrà applicare un giudizio al mio operato, sicuramente non nella verità dovrà trovare le ragioni del suo giudizio. Non si venderanno bugie a costo zero, ma la verità di quanto si produrrà sarà una condizione a priori del nostro mestiere e non, dunque, quel metro che misurerà la qualità del nostro lavoro.
Un lavoro che è reso possibile dalla grandezza della rete. La grande vetrina che abbraccia tutto il mondo e che lo rende villaggio globale, casa di tutti, ma terra di nessuno. Senza limiti di tempo e di spazio, in un limbo del non luogo giocherò al gioco dell’informazione beffandomi delle istruttorie cartesiane e cercando di punzecchiare chi mi circonda attraverso il tocco del mistificato abisso di castrazione. Cogito ergo... dubito
Benvenuti, nella bottega del pennivendolo...
Che il gioco abbia inizio.