domenica 18 dicembre 2011

La guerra è bella anche se fa male

 La guerra in Iraq è finita. Quattromila soldati americani caduti sul campo e più di centomila civili morti. E' facile dire che una guerra finisce. Così come è ancor più facile dichiararne l'inizio. Il problema è quello che rimane. Rimangono le grandi bugie, le illusioni di un mondo migliore, l'opinione pubblica occidentale che si interroga nei salotti e si divide tra pacifisti e interventisti. La guerra è come la droga: il copione lo conosciamo, le conseguenze pure, tuttavia in preda a una dipendenza irresistibile torniamo a rivivere ogni volta lo stesso film.

Sento dire - come un disco sbeccato - che "questa guerra ha diviso profondamente l'opinione pubblica americana". Ma pensa? Dai ? Perché il Vietnam no? La prima guerra del Golfo? La Somalia? La Seconda Guerra mondiale e ancor prima la Grande Guerra? Quasi nove anni fa un presidente dava l'ultimatum a Saddam Hussein per lasciare Bagdad e oggi un altro assolve le le proprie promesse elettorali portando tutti a casa, arrivederci e grazie, lasciando un paese disastrato e coperto di macerie. Chi è il peggiore? La verità è che una risposta non c'è, a differenza di quanto non ci si voglia far credere.

L'ipocrisia che aleggia dietro la guerra la si respira guardando i servizi giornalisti che negli ultimi quarant'anni hanno raccontato le guerre in giro per il mondo. Cambiano i colori delle divise, della pelle della gente, dalla giungla si passa al deserto, ma in sostanza nulla cambia: un ventenne imberbe con indosso i panni del soldato che sogna la fidanzata lontana, i saccheggi, i bambini che piangono, le case bombardate, le brutalità sui prigionieri e l'epilogo del dittatore ammazzato... E' sempre la stessa musica, un disco rotto che ci perseguita ma ci ipnotizza, del quale non possiamo fare a meno.

Il paradosso della guerra è che per quanto cambi nella forma, resta uguale nella sostanza, facendo si che tutte quelle migliaia di morti non servano ad altro che a riempire una pagina in più dei libri di storia per i licei. Tutto serve a rendere eccezionale quello che per il corso della storia è invece drammaticamente normale. Spiegate voi a un reduce che ha perso le gambe che la guerra è finita. Per lui è iniziata il giorno che lo hanno mutilato.

Un giornalista racconta: "Ho visto cadere la statua di Saddam".  "E chissenefrega" -  risponde un collega più anziano - "Io ho visto i rumeni fare la pipì sulle immagini di Ceausescu". "Pivelli" - ne fa eco un altro ancora - "Voi non c'eravate a Piazzale Loreto". Provate a dirmi adesso che la storia non è un acne che si morde la coda? Ma anche io voglio fare della retorica. Posso dire che sono diventato uomo di pari passo con lo sviluppo di questa guerra. Oggi ne scrivo da giornalista professionista, ma quando questa è scoppiata ero un liceale dell'ultimo anno. Le opinioni dei miei coetanei sono state impregnate profondamente dalle macerie delle Twin Towers, dalle bombe di Nassiriya, dalla morte di Calipari e dal rapimento della Sgrena e via dicendo. Ma lo stesso non lo potrebbero dire i nostri genitori con quanto accadde in Vietnam o nell'ex blocco sovietico? E i nostri nonni con la Seconda Guerra Mondiale?

Chiudiamo questo capitolo di lacrime, sangue e polvere. Mettiamoci comodi e attendiamo di assistere al prossimo.

mercoledì 14 dicembre 2011

Pontifex, ovvero delirio di un cattolicesimo suicida

"Anche i ladri, come i gay, si congratulano delle loro prodezze" Scilipoti dixit e ancor peggio rispose Monsignor Serafino Sprovieri, arcivescovo emerito di Benevento, uomo di Chiesa e rappresentante della pia carità cristiana: "Scilipoti ha ragione. L' uomo se non vive nella luce e nella verità non va lontano. L'omosessualità, quando sconfina in atti o peggio ancora ostentazione, è sbagliatissima. Se i gay si accontentano e sorridono di questa condizione, bene per loro. Anche i camorristi, dopo aver commesso le loro cattive azioni, si autocelebrano e festeggiano. La condizione gay è negativa. Dovrebbero fare come Adamo nel Paradiso terrestre, provare vergogna. Quando Adamo viene scoperto nudo, si nasconde all'occhio di Dio. Sa che ha commesso il male e ne prova ripugnanza, stessa cosa che un gay dovrebbe fare. Ma la cultura relativista del tempo, ammette anche questo".

 Follia medievale? Carteggi della Sacra inquisizione? Macché, tutte notizie fresche fresche di una Chiesa avviata verso l'eutanasia. Da cattolico provo una certa sofferenza, ma soprattutto vergogna, leggendo le pagine online del portale Pontifex . Pagine che trasudano odio e intolleranza, ipocrisia retrograda che col messaggio d'amore di Cristo non hanno nulla a che fare. Un rigurgito di nostalgia di potere, in una società che ha eroso le fondamenta di quell'istituzione che per anni si è presa cura delle anime e delle cabine elettorali di mezzo mondo. Ma non ne faccio un discorso di politica, mi voglio spingere oltre. La critica più dura a questa manifestazione retrograda e violenta della fede cattolica viene dall'essenza stessa del cristianesimo, ovvero l'amore. Quando la religione diventa ideologia, allora si compromette con le umane devianze ed ecco che tutto crolla. Vedere Cristo ridotto a un surrogato di pensiero umano è triste e avvilente, perché la fine dell'ideologie è scritta nella storia. Il regime iraniano, i talebani afghani, il comunismo e via dicendo...

Un figlio di un carpentiere mandato da Dio per stravolgere il destino dell'uomo. Un uomo semplice che ha lavato i piedi ai suoi discepoli e ha teso le sue mani a uomini corrotti, prostitute e lebbrosi. Quell'uomo messo in croce dai farisei, i detentori del sapere e della fede "giusta". Ecco chi mi ricorda le parole di Pontifex: l'immagine di coloro che hanno deciso di uccidere il figlio di Dio in nome della presunzione di detenzione del sapere. Il paradosso, che deve far sprofondare questi teocrati, consiste nel fatto che la loro rovina è lì scritta nello stesso vangelo di cui si ergono difensori supremi.

Provo compassione per la cattiveria delle parole dell'articolo che andrete a leggere. Qui si vuol far credere che la morte di Francesco Pinna sia una punizione di Dio verso Jovanotti, il peccatore ateo...


A Trieste, mentre si montava una tribuna per il concerto di Jovanotti, un crollo improvviso è costato la vita ad un operaio e diversi feriti. Piangiamo una vittima senza colpa, preghiamo per lui e chiediamo sia fatta giustizia, indipendentemente dal nome o dal passato di chi sia responsabile per colpa. Davanti alle morti sul lavoro occorre massima fermezza, in quanto non è pensabile lasciare la vita e la famiglia per pochi soldi, mentre artisti e vip ingrassano. Detto questo, passiamo al resto. Ricorderete che una settimana fa, Fiorello si esibì con il suo penoso "salvalavita Beghelli", alludendo e facendosi apostolo del profilattico, dunque incoraggiando via etere il libertinaggio sessuale, quindi il peccato mortale? Bene, in quella circostanza, Fiorello ebbe come partner proprio Jovanotti, colui il quale avrebbe dovuto esibirsi a Trieste. Dio non manda certamente il male che non vuole. Dio non chiede sofferenze agli umani, ma si ribella e acconsente ...
... acché Satana ci metta alla prova.
Una specie di "catechismo del male", giusto percorso spirituale, che ogni uomo deve affrontare al fine di santificare la propria vita, mediante fortezza e virtù.
Una positiva conseguenza del crollo è stata la sospensione del concerto di questo menestrello del vietato vietare, del tutto è permesso, della vita sregolata e dell'incitamento ad ogni scompostezza esistenziale. 
Da questo e solo da questo punto di vista, esiste una giustizia divina che si oppone alla volgarità ed al libertinaggio senza censura, anzi, avallato da nomi noti che, così facendo, si fanno portatori di voce del Maligno.
Su certi avvenimenti della storia e nella storia, occorre meditare e riflettere, senza fingere che non riguardi noi e le nostre condotte scellerate ed offensive.
Chi violenta il genere umano, chi istiga alle perversioni, non piace a Dio, in quanto degno servitore del Suo nemico, dell'angelo perverso e corruttore che è "principe di questo mondo" e che va combattuto, non appoggiato.
Questa è fede, non è invenzione o superstizione, questo è scritto anche nel Catechismo delle scuole elementari.
Speriamo che il concetto lo capisca, piangendo una morte, anche Jovanotti.
Sappiamo bene che queste parole susciteranno le ire e gli insulti di uomini di poca fede o di siti di spam, ma di loro: "chissenefrega".


Lo chiedo col cuore: se qualche cattolico c'è ancora in giro lo prego di darmi un mano. Dimostriamo al mondo che in verità non siamo così...

La legge popolare anti-casta

Oggi si pone la fiducia sulla manovra. Un peccato vien da dire, si doveva fare alla svelta, ma alla fine l'ha spuntata ancora la politica. Ai grandi partiti Monti piace formalmente, ma indirettamente ha già rotto i cosiddetti. Il Pd deve fare i conti con la componente sindacale e con l'Idv che viaggia col piede di guerra, mentre il Pdl è ai ferri corti con la Lega. Per non parlare dello spettacolo impietoso andato in scena ieri al Senato. La luna di miele tra Monti e i partiti è finita.

Ma oggi è anche il giorno dei primi tagli ai parlamentari. Per gli eletti sparisce finalmente il vitalizio, ovvero quell'istituto che sostituiva il sistema contributivo previdenziale pro rata. Di quel che non si parla è dei tempi per il taglio degli stipendi che dovrebbe essere al vaglio dei presidenti di Camera e Senato. Già perché per mettere le mani nelle tasche degli italiani, i nostri eletti sono più veloci del pistolero Lucky Luke, ma per la loro saccoccia un decreto non sarebbe adeguato, bisogna fare con calma.

Frugando sul web però ho trovato un sito molto interessante: “Nun te regghe più”. Oltre al fantastico riferimento alla canzone di Rino Gaetano (della quale il Pennivendolo si era già servito le scorse settimane), l'iniziativa consiste in un gruppo nato su facebook con l’obiettivo di arrivare alla promulgazione di una legge di iniziativa popolare che preveda una sostanziosa decurtazione delle indennità degli eletti nel nostro paese. La legge consta di un solo articolo:

"I parlamentari italiani eletti al senato della repubblica, alla camera
dei deputati, il presidente del consiglio, i ministri, i consiglieri e
gli assessori regionali, provinciali e comunali, i governatori delle
regioni, i presidenti delle province, i sindaci eletti dai cittadini, i
funzionari nominati nelle aziende a partecipazione pubblica, ed
equiparati non debbono percepire, a titolo di emolumenti, stipendi,
indennità, tenuto conto del costo della vita e del potere reale di
acquisto nell'unione europea, più della media aritmetica europea degli
eletti negli altri paesi dell'unione per incarichi equivalenti".

Per poter far partire una proposta di legge popolare occorre raccogliere delle firme: clicca qui per andare a vedere dove puoi trovare la modulistica. I più nichilisti innanzi a queste iniziative potrebbero storcere il naso e sottolineare come di fatti un ddl popolare, anche se dovesse arrivare alla Camera, semplicemente non verrebbe votato. Io dico no, potranno anche non votarlo ma è un segnale forte che resterebbe agli atti.

Giusto per spolverarvi la memoria, a seguire il video di quanto accaduto ieri al Senato mentre il premier Monti rendeva conto al Parlamento sugli atti della Commissione europea della scorsa settimana.


lunedì 12 dicembre 2011

Lo schiaffo del Nord


E' finita. Probabilmente è proprio finita. C'è chi parla di teatrino e gioco delle parti, chi di folklore leghista rinato con il Parlamento della Padania, eppure il sodalizio tra Bossi e Berlusconi è veramente al capolinea. Perché vi dico ciò? Perché ci sono cose su cui non si scherza, dei nervi scoperti che se vengono pizzicati scatenano labirinti senza ritorno. Bossi ha già tradito ed è stato perdonato, il Cavaliere ha guardato oltre; Bossi sventolava le manette durante tangentopoli, il Cavaliere ha guardato oltre. Ieri Maroni è risultato essere il primo firmatario dell'emendamento alla manovra per la raccolta di fondi dall'asta delle frequenze televisive. Berlusconi guarderà oltre? Le tv non si toccano.

Chi della politica guarda alla forma e non alla sostanza, si soffermerà sull'analisi delle "padan-buffonate" come la moneta padana, gli slogan "kaputt euro" e "Berlusconi sta con i comunisti", ma pensare che i leghisti siano soggetti a cui basta dare un elmo con le corna e un fiasco di vino per tenerli buoni è un errore madornale. In tutta la gazzarra, quello che i leghisti sanno fare benissimo è bastonare i calli. Anche quelli dei migliori amici. E qual è il callo di Berlusconi? Le sue aziende. Non è un caso che in tutti questi anni, l'unico colpo che è riuscito a fiaccarlo sia stata la sentenza sul lodo Mondadori con il maxi risarcimento a Cir. Detto ciò, la rottura non si consuma sulla prima pagina della Padania di oggi, bensì sul piano degli emendamenti alla manovra. Vi lascio con un interrogativo: Tremonti cederà alle sirene del vento del Nord?

giovedì 8 dicembre 2011

Scrittura di frontiera, arare oltre i confini del dialogo


Sistemando il mio archivio, mi sono imbattuto in questo scritto che risale al novembre del 2008. Era un articolo di analisi sul concetto di confine, visto con gli occhi di chi bazzica il mondo della letteratura. Ci sono notizie che non invecchiano e questa penso sia una di quelle. Buona lettura:


Un taglio netto nella terra, un solco che si perde alle spalle del vomere che incide il suolo. Non c’è immagine migliore dell’aratro al lavoro per individuare il concetto di confine, un’astrazione che, da che esiste l’uomo, assolve il compito difficile e innato della delimitazione dello spazio. Uno spazio che non è solo misurabile, tutt’altro. La metafisica frontiera del pensiero, così come le Colonne d’Ercole confine ultimo della φύσις (la “natura”) aristotelica e della curiositas del mondo antico. L’umanità è cresciuta di pari passo con l’impellente necessità di delimitare, porre una frontiera ultima di proprietà e quindi di misura della stessa. Ma in questo flusso dal divenire continuo, nulla è per sempre. Il limes traianeo dell’impero romano è caduto, la cortina di ferro comunista pure, così come il muro di Berlino, icona della subdola separazione dell’uomo in seno all’ideologia, si è sgretolata sotto i colpi di piccone sferrati dalle stesse persone che si augurava di separare per sempre.


Ma il concetto di confine, accompagnato da quello di frontiera - differente nel particolare ma assai simile nel principio primo – può in qualche modo divenire metafora del luogo del dialogo per eccellenza? Se non in politica, dove sembra che la ragione ultima dell’idea di guerra si esaurisca proprio dentro alla questione di spartizione territoriale, sicuramente può esserlo in letteratura. Gerusalemme è stata luogo, più che simbolico, di rappresentazione di questa possibilità. In merito all’incontro Dialoghi italo-israeliani, Claudio Magris e Abraham Yehoshua davanti a una platea illustre, composta tra l’altro da Giorgio Napolitano e Shimon Peres, hanno disquisito delle proprie esperienza di uomini e scrittori posti davanti alla linea di confine. La cortina di filo spinato che, poco a est di Trieste, separava Magris dalla Jugoslavia di Tito e dal blocco stalinista, si è incontrata con la geografia a pelle di leopardo israeliana, sinonimo della travagliata esperienza di un popolo, quello ebraico, privo di confini e frontiere per eccellenza.
Per Magris la componente mitteleuropea si traduce in una tensione continua alla ricerca di se stessi, di un uomo cresciuto «in una terra di nessuno tra due frontiere, che ha reso sempre difficile ai suoi scrittori definire un’identità». Come per l’autore de Il mio Carso, Scipio Slapater, anche per Magris «quest’incertezza, questa appartenenza plurima è succhiata nel sangue», segno del trauma che questi “confini” travagliati hanno lasciato nella coscienza letteraria di scrittori friulani, Italo Svevo compreso. La campana ebraica suona invece un’altra musica. Se per i triestini è proprio il confine il problema, per la cultura ebraica il dramma si consuma nella diaspora, ovvero la mancanza assoluta degli stessi confini. Una fortuna, verrebbe da dire a caldo, ma per il popolo errante dai tempi di Abramo, il sogno di una terra promessa, fine ultimo del sionismo di Theodor Herzl, ha trovato compimento con Israele. Secoli di spostamenti e di una cultura “take-away”, dal 1948 hanno una base territoriale in cui riconoscersi. Per Yehoshua è il sionismo che ha dato a un popolo il significato di frontiera, ma è altrettanto paradossale il corso della storia: «In fondo, è simbolico che questo popolo, abituato ad attraversare con facilità tutte le frontiere, con altrettanta facilità sia stato radunato in un non luogo come Auschwitz». Ebrei cosmopoliti quindi, intellettualmente fertili, ma a che prezzo? Olocausto a parte, le vicende dello Stato d’Israele parlano da sole.


«Come sostiene Claudio Magris esiste da sempre un’identità di frontiera, così come esiste una letteratura di frontiera – spiega Predrag Matvejevič, scrittore e docente di Slavistica all’Università La Sapienza di Roma –; la speranza è che questa serva ad avvicinare e non ad allontanare». Nell’era dell’Europa unita e dell’affermazione dello Stato d’Israele, parlare di confini e frontiere potrebbe suonare anacronistico. Non è certo così. Concepire le frontiere solo come un ostacolo fisico è qualcosa di riduttivo se non ingenuo. Abbattute le dogane europee per gli stati dell’unione, dopo Maastricht, rimangono da saltare barriere ideologiche. «Affrontando le parole di frontiera e confine bisogna considerare che l’una è circoscritta alla concezione di spazio, l’altra intende una linea. Sono i confini che generano la maggior parte dei problemi, mentre la frontiera non è che una risultante di questa azione esercitata dal confine – spiega Matvejevič –. Le tipologie di confini e frontiere possono essere molteplici: statali, nazionali, politici, religiosi e soprattutto culturali. Sono questi quelli che generano maggiori preoccupazioni. Tacito aveva compreso appieno il problema e aveva individuato (nel suo trattato La Germania ndr) una frontiera ben precisa tra romani e germani e la definiva mutuo metu, una “mutua paura”. La stessa che noi, abitanti dell’Europa dell’est, abbiamo subito involontariamente sotto il dominio staliniano». Ma l’analisi dello scrittore croato si spinge oltre e inverte i ruoli. Se prima il terrore del diverso veniva indotto dalle dittature dell’est verso ovest, ora il problema è rovesciato. Gli scettici stanno ad occidente: «Dopo il crollo del muro di Berlino, molte barriere sono cadute – conclude Matvejevič –. È rimasto però qualcosa che divide l’Europa dall’altra Europa. Che cos’è? E qual è la sua alterità? Questo si riferisce a una frontiera di cui non siamo coscienti. Noi che veniamo dal regime sovietico vediamo un atteggiamento “euroscettico”. Anche verso la Polonia, che maggiormente si era opposta al blocco comunista. Dobbiamo prendere in viva considerazione questo fenomeno in vista dell’Europa di oggi e di domani, quella che esiste e quella che dovrebbe esistere».

giovedì 1 dicembre 2011

Pensione a due stelle, risparmio di 6 miliardi




Parlare di pensione e pensare alla previdenza sociale è un gioco azzardato di questi tempi; nel nuovo dizionario della lingua italiana l'unico riferimento al lemma "pensione" è legato a quegli alberghetti dall'aria decadente che sorgono sui litorali delle patrie coste. Già perché chi come me è un under 30, in pensione non ci andrà mai.

Piagnistei a parte, vediamo nel dettaglio cosa sta succedendo alle pensioni degli italiani e ai vitalizi dei parlamentari con le riforme che sta varando il nuovo governo Monti. Partiamo dalle pensioni: il periodo contributivo sale da 40 a 43 anni, ovvero serviranno 3 anni in più per poter smettere di lavorare, l'età pensionabile delle donne si allineerà con lo standard europeo e infine ci sarà il ritocchino sulle aliquote dei lavoratori autonomi con un innalzamento di un paio di punti percentuali. Ma il bello deve ancora venire. A spaventare - secondo il modesto parere del Pennivendolo - non deve essere l'innalzamento della soglia contributiva o l'adeguamento delle donne ma il meccanismo di blocco della perequazione automatica all'inflazione.

Ditero questa perifrasi si cela la vera stangata di Monti&co. Cosa significa perequazione all'inflazione? Il ministro Fornero ha pensato di bloccare la rivalutazione delle pensioni al costo della vita esteso a tutte le pensioni per contenere la spesa previdenziale per il 2012. Ad ora si parlerebbe di un risparmio di circa 6 miliardi di euro, ma a che prezzo? In due parole ecco cosa succede: lo Stato, per il 2012, se ne fregherà altamente dell'andamento del costo della vita, dei prezzi al consumo e dell'inflazione, lasciando così invariato l'importo dell'assegno a fine mese delle pensioni. Un esempio grossolano: se il prezzo del pane dovesse salire per corso inflattivo, la pensione resta sempre la stessa. Se prima con la pensione ti compravi una pagnotta da un chilo, oggi devi fartene andare bene mezza. Lasciando questo esempio nazional-popolare, il problema grande è il rischio della contrazione dei consumi. Ma la necessità dell'Italia non era la crescita?

Veniamo ora ai vitalizi dei parlamentari. Oggi i nostri onorevoli sono tutti favorevoli, eh certo! Prova te ad andare in tv a dire il contrario... Da gennaio la casta inizierà a percepire la pensione basandosi su un sistema normale e non con quella schifezza del calcolo dell'assegno retributivo con contribuzione minima fissata all'8,67%. Ieri le ho sentite tutte. Paolo Cento di Sel (Nichi Vendola per intenderci...) che ha espresso il timore a Tgcom24 che: "i tagli non siano l'occasione per far si che la politica diventi una cosa per soli ricchi". E Fausto Bertinotti? Il compagno Bertinotti la settimana scorsa in diretta alla Zanzara su Radio24 commentava che l'abolizione dei vitalizi è giusta per i colleghi, ma per il suo portafoglio "è altrettanto giusto che mi si riconosca per quello che ho contribuito".Parole al vento perché il vitalizio a lui non lo toglie nessuno perché la legge non è retroattiva. Affermazioni che si commentano da sole.
Resta una constatazione amara da fare: ritenere decisiva questa riforma delle pensioni parlamentari è da stolti. E' più che altro un segnale che viene dato ai cittadini vista ala stangata che si preannuncia proprio in campo previdenziale; sarebbe stato troppo impopolare imporre scarifici agli italiani senza toccare la casta.




lunedì 28 novembre 2011

Dal D-Day al Btp-Day


Oggi parte l'operazione Btp-Day. Lo Stato ci chiede di mettere una mano sul cuore e aprire il portafoglio per comprare il nostro debito. "Meglio in mano nostra che nelle tasche altrui", ma ne siamo sicuri? E' curioso che la stessa classe di politicanti, baroni e banchieri che ha generato la voragine galattica del nostro debito, oggi chieda agli italiani di ricomprarselo in nome di un patrottismo che esiste solo quando gioca la nazionale di calcio. A me puzza di autarchia da due soldi, una mossa disperata che ricorda i dazi e le mutande di canapa del ventennio, perché in fondo il cotone "fatto in Italia non gratta". Mio nonno mi ha sempre raccontato il contrario. Più che un Btp-Day sembra il D-Day per salvare l'euro.

Dato che non possiedo la bacchetta magica, una soluzione non la posso dare, ma tra le pagine di Libero in edicola oggi è apparso uno spazio a pagamento acquistato dai fondatori del blog "Mercato Libero" che reputo molto interessante. E' proprio lì che sono apparsi i motivi per cui diciamo no al Btp-Day. Magari avremo torto, ma le argomentazioni riportate sono degne della massima attenzione.

Non mi dilungherò più del dovuto su tutti i punti tecnici che hanno toccato quelli di "Mercato Libero" ma uno lo sento particolarmente convincente. La ricchezza italiana è stata costruita negli anni da un apparato industriale di altissimo livello che ha generato un flusso virtuoso di consumi e risparmi custoditi nelle banche nazionali. Bene, tempo fa in nome di un non so quale liberismo, si è permessa la delocalizzazione selvaggia. Doveva essere un provvedimento per preservare la competività delle imprese ma si è tradotto in una progressiva perdita di posti di lavoro, impoverimento del Paese a scapito di quelli in via di sviluppo e quindi crollo dei consumi. All'Italia ora rimangono i risparmi dei suoi cittadini e il 60% del suo debito. L'idea di oggi è quindi quella di chiedere agli italiani di mangiarsi i risparmi di una vita per acquistare il debito, siamo sicuri che sia una mossa da volpi del deserto? Ricordo ai cervelloni del governo e della Bce che ci sono famiglie che per sopravvivere stanno già consumando i risparmi di una vita. Io fuggo in Svizzera.

Ecco l'intervento del fondatore di "Mercato Libero" Paolo Barrai su La7 nella trasmissione "Piazza Pulita".