giovedì 16 dicembre 2010

Terzopolismi


Alleanza per l'Italia del Futuro con la Liberta dell'Unione di Centro che si Muove per le Autonomie nel solco della LiberalDemocrazia... E' nato il terzo polo. Ritorna Alleanza nazionale, senza fiamma e senza pelato in piazza Venezia. Niente libro e moschetto, ma Pierferdy e Binetto. Il Polo della Nazione è la nuova creatura politica dei soliti accordi perché "in fondo la storia è sempre la stessa. C'è uno che grida, che grida e fa i versi da quella finestra".

E allora? Continuiamo a dirla con le parole di Jannacci.

"Si cambiano i nomi, rimangon bastardi, tu guarda alla radio, le solite facce,i soliti accordi. (Quali accordi?) I soliti. Do maggiore, la maggiore, la minore, re minore, sol settima, re minore... Do maggiore, la maggiore, re minore, la minore, sol settima, si minore..."

mercoledì 15 dicembre 2010

Gattopardismi a Montecitorio


Parole, parole parole... Non è la famosa canzone di Mina, ma quanto rimane del deprimente spettacolo a cui l'Italia ha dovuto assistere ieri. Botte politiche, zuffe parlamentari, guerriglia urbana e ancora fiumi di parole. Goccia più, goccia meno, aggiungeremo anche le nostre considerazioni a questo fiume verbale in piena.

In primis urge ammettere che mi sono sbagliato. Pensavo che la gazzarra alla Camera si sarebbe risolta con dimissioni tattiche dopo il primo voto al Senato, piuttosto che elezioni anticipate. Niente di tutto ciò. E' bastato fare appello al fondo del barile, al marciume intellettuale della nostra classe dirigente: agopuntori, Cepu e "cchiù pilu pe tutti". Voto di scambio? Probabile, ma adesso urge guardarsi negli occhi e avere l'umiltà di ammettere che se è deplorevole chi paga, altrettanto lo è chi si fa pagare. Un concetto questo che sembra non essere chiaro. In Italia fanno schifo i sommi sacerdoti, ma salviamo Giuda.

Punto secondo. Una cosa l'ho azzeccata. Fini è spacciato. Ho sempre pensato che il presidente della Camera avesse iniziato un processo di eutanasia politica. Bene, ieri Berlusconi ha staccato la spina del suo respiratore. Gianfranco Fini è stato fregato dallo stesso gioco di scatole cinesi con cui avrebbe voluto fare le scarpe al premier. Come ha deciso di separarsi dal partito con i suoi pretoriani, a sua volta il delfino di Almirante (incredibile...) è stato fatto fuori da una scatoletta di traditori che a Mirabello erano in prima fila a battere le mani. In parole povere: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.

Dulcis in fundo, cosa succederà ora? E io che cosa ne so. Napolitano diceva che ci vorrebbe la sfera di cristallo. Magari ci fosse la sfera! L'unico corpo sferico che vedo rotolare è la furbizia camaleontica di Casini. Stai a vedere che finirà a tarallucci e vino con Bossi e Berlusconi. Ancora una volta cambia tutto, affinché niente possa cambiare. E se si andasse a voto in primavera? Se Napolitano non ha la sfera, speriamo sia capace di leggere le carte.

mercoledì 3 novembre 2010

IL DEMOCRATICO


Alla fine lo hanno preso. Almeno credo. Se non l’hanno ancora fatto lo faranno presto. Peccato che sia finita così, io glielo avevo detto da tempo che in linea di principio aveva ragione, ma la lotta era da combattere dentro al sistema. Entra nel sistema per cambiarne i connotati partendo dalle radici. Insieme si può. We can. Purtroppo quello del bombarolo è un film già visto, un racconto di cui abbiamo già letto il paragrafo finale. Mi piace ricordarla come la storia dei compagni che sbagliano, che cambiano campana pur senza rinunciare al nobile intento del raggiungimento dell’uguaglianza fraterna tra i popoli. Si esatto, un fratello che ha sbagliato. Ma proprio ha sbagliato tutto, soprattutto nel momento in cui tra noi soffiava questo vento di cambiamento proveniente oltreoceano, questa brezza innovatrice che avrebbe spazzato via - partendo dalle piazze - tutto il circo di nani, acrobati e ballerine della maggioranza. Peccato. Con lui se ne andrà un bel pezzo della mia infanzia.
La lotta continua. Non fraintendetemi. Nei luoghi e coi mezzi che la Costituzione ci ha fornito, senza discriminare minoranze e continuando a indignarci per ogni bravata mediatica che il nuovo tiranno ci regala di settimana in settimana. E’ un lavoro duro il mio: riunioni, congressi, commissioni, confronto con i vertici del partito e poi le discussioni in aula. La guerra se si fa si fa bene. Abbiamo denunciato che la stampa è al soldo di qualcuno, ma tanto abbiamo la nostra che ci segue. E se nessuno legge la nostra stampa di partito? Non importa abbiamo i finanziamenti pubblici che ce la sostengono. Quella della libertà d’espressione è un sacrosanto diritto da garantire, a costo di mettere le mani al portafogli dello Stato. E così noi non ci vergognamo di spendere denaro pubblico per scrivere un giornale che non legge nessuno, perché il giorno in cui ci sarà impedito farlo, allora sarà ora di impugnare le armi proprio come ha fatto il nostro amico bombarolo. E questo sia mai: noi siamo democratici.
E’ successo lo stesso con la televisione di Stato. Noi siamo democratici - come i democratici americani e i laburisti inglesi - però abbiamo visto l’assalto alla diligenza per la spartizione dei poteri dentro la tv pubblica, così ci siamo vestiti da cow boy e ci siamo lanciati alla conquista del nostro fortino insepugnabile. Ora abbiamo un canale tutto nostro, un piccolo Fort Alamo dove combattiamo strenuamente, assumiamo solo giornalisti che stanno dalla nostra, ma soprattutto proponiamo una televisione di qualità. Non importa se nessuno la guarda perché la popolazione preferisce quella del nemico. Noi la facciamo lo stesso perché è un servizio pubblico. Il pluralismo è importante, è una questione di vita o di morte. Immaginate cosa potrebbe essere uno stato senza pluralismo. Noi combattiamo ogni giorno per quello. Ogni giorno occupiamo - o quanto meno cerchiamo di farlo a suon di cazzotti - una fetta di potere per garantire il pluralismo. Se dovessimo mollare questo potere si cadrebbe in una dittatura fatta di escort, leccaculi, massoni e chi più ne ha ne metta. Non sia mai: prima la nostra fetta di potere e poi si parla del resto. Lo stesso lo abbiamo fatto con le banche, le compagnie di assicurazione, le cooperative della grande distribuzione e via. Il potere va spartito.
E non è vero che abbiamo tralasciato il resto. La ricerca universitaria, la libertà di immigrazione, l’abbattimento delle tasse, la lotta al malcostume della politica, la guerra alla mafia, la pace nel mondo. Sono tutti punti fondamentali, ma attenzione. Al governo non ci siamo noi. E’ quindi nostro compito fare i conti senza l’oste e resistere, proprio come i nostri nonni resistettero sulle montagne per cacciare i nazifascisti. Perché la Resistenza non è una circoscrizione storica ancorata alla memoria di più di sessant’anni fa, bensì è una condizione esistenziale in cui vivono grandi valori. Ecco perché noi democratici siamo tutti amici dell’associazione nazionale partigiani: non importa se di partigiani del tempo non ne sia scampato mezzo, sono i giovani a doversi iscrivere.
Prendo spunto da questa citazione dei valori della Resistenza per puntualizzare su una questione. Come i partigiani non scesero a compromessi con l’invasore nazista, noi altrettanto abbiamo scavato un solco profondo tra noi e il Presidente del Consiglio. Un solco invalicabile da parte nostra, ma aperto a chi vuole fuggire dal partito azienda. Si è voluto radicare il sistema bipolare anche in Italia e noi abbiamo accolto l’invito fondendo insieme comunisti, democristiani, cattolici dell’Opus dei ed ex radicali. Perché per noi le diversità sono un valore. Il relativismo puro è un valore, perché il singolo deve potersi esprimere liberamente. In passato la pensavamo radicalmente all’opposto, ma si sa, i tempi cambiano e con esso le ideologie muoiono e le convinzioni cambiano.
Sono fiero di potervi dire che di giorno in giorno quel solco è aumentato fino a divenire una vera e propria cortina di ferro. Ora la lotta politica la stiamo portando contro il malcostume personale del presidente perché nel frattempo il resto può aspettare. Mica siamo noi a governare. A noi spetta il ruolo dell’opposizione e come tale il nostro obiettivo è quello di mandare a casa questo tiranno da strapazzo. Sono quindici anni che ci proviamo senza grandi successi, ma sono sicurissimo che - tra le mille storie di escort e festini - questa volta abbiamo trovato quello giusto.
Salute a te bombarolo. Se ti fossi accomodato al mio fianco in Parlamento quanto te lo dissi, ora saresti qui a sperare di godere al più presto della caduta del grande satana. Nel frattempo penserò a te ricordandoti il coraggio e la grandezza di personaggi come il reverendo King, il presidente Kennedy, Madre Teresa di Calcutta... insomma, i grandi del Pantheon Democratico.

martedì 2 novembre 2010

IL BOMBAROLO


Come disse un carissimo amico: “Se Gesù fosse nato in Italia, avrebbe fatto carriera poiché figlio di Dio”. Almeno uno straccio di seggio in parlamento glielo avrebbero dovuto dare. Un ministero, un contratto da portaborse o sottosegretario. Invece a noi cosa rimane? Precariato, instabilità, silenzi e una classe politica illusa di avere ancora il minimo controllo sulle masse. Già illusa. Ancora fermamente convinta che la soluzione ai problemi consista nel gettare sempre più carbone dentro la fornace del consenso, alimentando senza fine la lotta tra il bene e il male. Credo che al giorno d’oggi non ci sia niente di più metafisico se non la politica. La definizione or ora non saprei come darla - visto considerato che tra poco saranno qui a prendermi - ma sono certo che la forma della politica è là ancorata al mondo delle idee, incapace di distillarsi, di incarnarsi in qualcosa di diverso dal meccanismo della corruzione, dell’autoaffermazione e del clientelarismo.
Finché avrò tempo continuerò a scrivere questo mio testamento, anche se sono certo che - una volta catturato - di ciò non rimarrà nulla se non un’eco fievole.
Sono nato posteriore. Non significa podalico, ma posteriore alla realtà che mi circonda. Io non ho scelto il linguaggio, non ho scelto il mio nome, non ho scelto lo Stato a cui ho dovuto assoggettarmi silenziosamente. Sono nato prigioniero e tale morirò. Come tutti voi che forse leggerete qualche frammento di questa lettera. E pensare che tutto ciò ci è stato detto anni e anni or sono, ma l’uomo è stupido, l’uomo è perseverante nell’errore e gode nel calarsi gocce di cera nelle orecchie per non sentire. Chiuso nella mia stanza sfoglio come un maniaco le pagine di Marcuse, Heidegger e Lacan cercando un ultimo conforto, un sospiro di libertà prima della fine. Montesquieu ci aveva provato con il suo Esprit des loies, ma a cosa è servito tutto ciò se siamo finiti a questo punto? Perché nessuno ha chinato la testa per ascoltare il grido di questi amici nel silenzio della storia?
Abbiamo goduto del pane e ci siamo rilassati al circo dei potenti, satolli di consenso dispensato in pillole, fingendo di divenire attori del processo democratico giocando alla fondazione delle sedi di partito e alle riunioni dei comitati elettorali. Ma tutto ciò a cosa è servito, se non ad attenuare la consapevolezza della schiavitù? Abbiamo creduto di poter gestire il potere, anestetizzati dal consumo e dal benessere, abbiamo abbassato il collo della camicia per fornire senza intralci la nuca al boia.
Questo mio ultimo canto prima dell’inferno lo dedico soprattutto a coloro che - ingenui - hanno creduto di essere liberi combattenti per la libertà. Chi sono questi paladini da strapazzo? Voi! Sì voi! Voi che avete sguazzato nell’ipocrisia dell’opposizione, voi che avete scavato il solco della diversità. Voi che vi siete innalzati a sommi giudici capaci di sancire ciò che è bene e ciò che è male. Avete costruito una nuova cortina di ferro fatta di marzapane, una barriera fittizia capace di ingannare solo i più ingenui. “Perché noi siamo diversi, mentre voi...”. Pluralis maiestatis delle mie palle. Nella cloaca maxima non esiste un noi e non esiste un voi, ma esiste solo un unicum degenerato che amministra e spartisce il potere. E chi pensa di essere esente da ciò si sbaglia, perché il politico è come il pesce. Dopo tre giorni puzza.
Io ho saltato insieme a pochi la cortina di ferro. Come quel soldato ritratto a Berlino e adesso condannato ad essere venduto come cartolina per i turisti, io ho fatto il salto. Un salto della quaglia che mi ha salvato moralmente e condannato formalmente, un moto che mi ha posto sopra le parti. Solo contro tutti. Mi rammarica la consapevolezza che farò la fine di altri fessi che, come Don Chisciotte, pensavano di poter abbattere i mulini a vento. Io qualcosa ho abbattuto e probabilmente ho sbagliato, ho fatto del male, ho dispensato disperazione e per questo Dio mi consegnerà il conto da pagare. Ma se c’è un Dio, sarò lieto di pagare a lui il conto di una rivolta contro coloro che il conto me lo hanno presentato ancora prima che nascessi. Coloro che hanno istituito la struttura perversa della concezione di Stato al quale l’individuo ha dovuto silenziosamente versare l’obolo della propria esistenza. Rinunciare a uno spicchio delle proprie libertà personali per consegnarlo nelle mani dello Stato.
Io ho infranto l’esclusiva della coercizione della forza predicata da Weber. Io ho sovvertito il naturale esito dei conflitti sociali predicati da Hobbes dando un calcio in culo alla summa potestas e alla forma astratta del mandato implicito che i cittadini danno allo Stato. Io ho detto di no a tutto questo e per questo verrò punito. Io mi sono sostituito allo Stato. Io ho combattuto la paralisi della critica. Io non sono un uomo a una dimensione.
Quando ancora galleggiavamo innocenti nella placenta delle nostre madri, già il peccato originale della posteriorità ci insidiava. Avevamo un nome prima di essere venuti al mondo, e questo com’è stato possibile? Lo abbiamo scelto noi, oppure è il nome che ha scelto noi? E la lingua? Noi abbiamo avuto l’altezzosa superbia di poter avanzare la consapevolezza della manipolazione del linguaggio e invece no. Ci siamo serviti solo di una sovrastruttura che ci ha dominato. Così come lo Stato. I feti sono stati italiani, francesi, svizzeri, europei o cinesi prima di vedere la luce. E’ lo Stato che ci ha scelto in barba alla nostra libertà. Ci ha bollati e catalogati. Io ho provato a dire di no a tutto questo, ma alla fine ho perso la mia guerra. Ora il boia mi chiama per porre fine al sogno di una mente malata. Arrivederci.

giovedì 22 luglio 2010

A volte ritornano


Carissime e carissimi,
è tanto che non mi affacciavo più a questa finestra. Vuoi per pigrizia, stanchezza e anche un po' di sconforto, devo proprio ammettere di aver issato bandiera bianca in questi ultimi mesi. Eppure - in questa mattina d'estate - ho sentito il richiamo di tornare più agguerrito che mai alla carica.
Il mio allontanamento è nato dalla consapevolezza che qualcosa mi stesse sfuggendo di mano, che il filo d'Arianna del mio futuro si fosse misteriosamente perso tra gli angoli bui del labirinto di Minosse. Si mi sono smarrito - almeno per il momento - in attesa di poter fare ritorno alla fine dell'estate all'interno della stampa che conta, quella con la "S" maiuscola. Uno smarrimento probabilmente forzato da una condizione lavorativa che all'interno della categoria sta spaccando le gambe a chi come me sta bussando alle porte della professione.
Precarietà, incertezza, collaborazioni saltuarie. Si è arrivati al paradosso che la candidatura a uno stage non retribuito viene festeggiata come un'assunzione a tempo indeterminato.
Ma non è la lagnanza che voglio.
Bentornato Pennivendolo

mercoledì 10 marzo 2010

Il racconto del sabato nero del Pdl

Il Pdl si è giocato la reputazione nella mattinata di sabato 27 febbraio negli uffici elettorali di Roma. A mezzogiorno si sarebbe dovuto consegnare le liste per dare la spallata definitiva al centrosinistra laziale. Una spallata possibile dopo la vicenda Marrazzo, che avrebbe consolidato l'asse Roma Milano con Formigoni e Polverini. Invece no, qualcosa è andato storto, un qualcosa che ha screditato completamente una scalata che sembrava vinta in partenza. Finora tanto si è parlato del decreto interpretativo, ma ancora non si capisce cosa sia successo quella mattina a Roma.
Se a Milano, a prescindere dal decreto interpretativo, il tar ha accettato la lista Formigoni facendo calare ulteriore imbarazzo sulla natura stessa del decreto, nel Lazio resta fumosa la questione che vede esclusa dalla provincia di Roma la lista Pdl che appoggia Renata Polverini. A sciogliere qualche dubbio arriva Angelo Fredda, miliante di Sinistra e Libertà, che era presente al momento della presentazione delle liste quel sabato nero. Giuseppe Cruciani de La zanzara su Radio 24 lo ha intervistato. Ecco il suo racconto.
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