martedì 15 dicembre 2009

C'è libertà e libertà

Essere liberi non significa fare quello che si vuole. O meglio, non è da confondere con la libertà di poter dire e sbagliare a nostro picimento. Il web sta assumendo le dimensioni di una enorme discarica intellettuale dove, chiunque ne abbia la volontà, si sente legittimato a scrivere e postare qualsiasi cosa violando i fondamenti che reggono le basi del concetto di Stato. Ultimo esempio di questa libertà vergognosa che gli internauti pensano di avere (per non so quale forma di diritto) riguarda l'immondizia legata a gruppi Facebook inneggianti a Tartaglia.

Per capire dove sta la falla, urge comprendere a fondo il concetto di Stato. Ma cos'è lo Stato? Max Weber scriveva «un'impresa istituzionale di carattere politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti». In altre parole: ogni cittadino deve rinunciare a una fetta della propria libertà (l'uso della forza per esempio) per declinarla alla comunità.

Insomma, non si può dire quel che si vuole. Ciò non si declina come un'infrazione del principio costituzionale in difesa della libertà di pensiero, ma sicuramente pone dei paletti a quella d'espressione. Un costituzionalista direbbe che ogni singolo è libero di esprimersi come gli pare, ma fino a non ledere la morale sessuale o la dignità altrui.

Questo punto mi sembra chiarito, eppure ciò che ancora mi suona molto strano è l'intervento di Marco Travaglio sul blog di Beppe Grillo. Tra i due non capisco più chi sia il comico o il giornalista, comunque vi posto la parte dell'articolo che mi preme sottoporvi (è un testo enorme l'integrale lo potete vedere sul sito). Travaglio scrive come se volesse giustificarsi, e ciò la dice lunga dopo l accuse pesanti rivolte dalla stampa di destra negli ultimi due giorni:

La politica non prevede la categoria del sentimento
Guardate, arrivo a dire una cosa paradossale che naturalmente verrà usata contro di me, ma non me ne importa niente: l’ha già scritta Massimo Fini spanerse volte, questa categoria per cui si parla di odio politico è una categoria del sentimento che viene applicata alla politica, la politica e il sentimento non c’entrano niente, la politica è un fatto tecnico, per cui ti voto affinché tu faccia delle cose, ma tu non puoi chiedermi di amarti, tu puoi chiedermi di votarti, ma non mi puoi chiedere di amarti, non esiste l’amore dell’elettore per il suo eletto, esiste soltanto nelle dittature, quando appunto il populismo carismatico del capo riesce addirittura a attirare l’amore degli elettori, che non sono più neanche cittadini, sono proprio sudditi, sono un’altra cosa, sono acritici, sono pecore che adorano il capo.Il fatto che sia tornata la categoria dell’odio e quindi dell’amore nei commenti dei giornali - leggete le stupidaggini che scrive oggi Battista su Il Corriere della Sera sul clima di odio etc. etc. - bisognerebbe rispondere, come fa Massimo Fini, “ e ‘mbe? Chi l’ha detto che non posso odiare un uomo politico? Chi l’ha detto che non posso augurarmi che se ne vada al più presto? Chi l’ha detto che non posso augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto?”, guardate che questa cosa qua, che sembra orrenda, dice “ oddio, c’è qualcuno che lo odia!”, è assolutamente normale: ognuno a casa sua, nel suo intimo, è libero di odiare e di amare chi gli pare e non esiste in democrazia che i cittadini siano obbligati a amare coloro che li governano, anche perché se tu ami una persona perdi lo spirito critico e il cittadino elettore deve sempre mantenere uno spirito critico. Per cui leviamoci dalla testa questo ricatto, che non bisogna odiare e che bisogna amare coloro che ci governano, o che bisogna rispettarli: ma per quale motivo dovrei rispettare uno che insulta tutti quanti, compreso me tra l’altro, in continuazione da quindici anni? E’ importante questo: la condanna ferma, fermissima dell’attentato e il dire che queste cose non si devono fare e che chi le fa deve essere punito e, nello stesso tempo, dire “ io quello lì non lo voglio più vedere, io quello lì non lo voglio come Presidente del Consiglio, quello non mi rappresenta, speriamo che se ne vada presto da Palazzo Chigi”, queste cose sono cose.. oppure “ lo detesto, lo odio”, personalmente non lo odio, ma non vedo per quale motivo qualcuno non potrebbe invece odiarlo: l’importante è che si limiti a odiarlo senza fargli niente di male, non esiste il reato di odio, esiste il reato di violenza, di aggressione, di lesioni, di tentato omicidio, di omicidio, quelli sono reati, ma il reato di odio non esiste, dire a una persona “ io ti odio” non è un reato, se Dio vuole, altrimenti altro che in un regime, saremmo in Bielorussia, Paese per altro da poco indicato come modello di democrazia dal nostro Presidente del Consiglio nella visita a Lukashenko, dove ha detto “ la gente ti ama e quindi è giusto che tu stia lì”, vedete come nascono le dittature? Nascono nella testa del dittatore o dell’aspirante dittatore ben prima che nella testa dei cittadini, o meglio dei sudditi. Quindi c’è qualcosa di strano in quello che dicono Rosi Bindi, che l’ha detto meglio e Antonio Di Pietro, che l’ha detto in modo più sgangherato, cioè nel definire la vittima di quell’attentato vergognoso, che tutti condanniamo etc., un noto provocatore, uno che se le va a cercare? Non c’è niente di strano a dire una cosa del genere, è nella biografia del Presidente del Consiglio, è nel suo DNA, credo che in qualche momento di lucidità - ogni tanto ne avrà anche lui - ammetterà sicuramente, in cuor suo, di essere un grande provocatore: lo fa apposta, se non fosse un provocatore non farebbe e non direbbe tutte le cose che dice e che fa, non se la prenderebbe ogni santo giorno con tutti i tribunali che ci sono in giro per il mondo, tranne probabilmente Forum di Canale Cinque; non se la prenderebbe con la Costituzione, non se la prenderebbe con la Corte Costituzionale, non se la prenderebbe con tutti quelli con cui se la prende, compresi quelli che non esistono e che vede solo lui, tipo tutti questi complotti dell’opposizione; insomma, basta guardare le facce di quelli dell’opposizione, per rendersi conto che, anche se volessero, non sarebbero in grado di fare nessun complotto, ma comunque neanche vogliono farlo e quindi stiamo tranquilli. Lui è un grande provocatore e alcuni suoi alleati peggio di lui: immaginate che cosa c’è di male nel dire che questi signori provocano da quindici anni il Paese, quando abbiamo sentito un Ministro come Bossi parlare di fucili, di kalashnikov , di 200 /300. 000 uomini armati nelle valli pronti a imbracciare i fucili e a marciare per l’indipendenza e la secessione, ma queste cose ce le ricordiamo o no?! A qualcuno è mai venuto in mente di attribuire a questi signori dal linguaggio violento un qualsiasi episodio di violenza accaduto nelle loro valli? Pensate soltanto alla violenza che ha seminato Berlusconi in questi anni, forse è l’uomo politico più violento che si sia mai visto nella storia repubblicana e italiana: fatevi venire in mente qualche Presidente del Consiglio, come De Gasperi, Moro, Andreotti, erano tutte persone che, almeno nel linguaggio, erano piuttosto mansuete. E’ l’uomo politico più violento che ci sia stato nella storia repubblicana e conseguentemente dire che è un provocatore e che è più predisposto nell’eccitare gli animi di un eventuale squilibrato mi sembra una banalità assoluta, per cui non capisco quale sia il problema in quello che hanno detto la Bindi e Di Pietro, i quali per altro hanno precisato entrambi che, ovviamente, condannavano l’attentato e davano la solidarietà umana al Presidente del Consiglio, che resta un provocatore anche se gli hanno tirato una Madonnina in faccia, perché basta leggere i suoi discorsi e uno se ne rende perfettamente conto.

Siamo dunque liberi di odiare e sperare che qualcuno crepi alla svelta? Ho letto bene? Cari lettori... a me proprio non convince. Molto meglio gli interventi di Battista (bistrattato da Travaglio), Calabresi, Stella e Mauro.

lunedì 14 dicembre 2009

Fermarsi a pensare


E alla fine le legnate sono arrivate sul serio. Grazie al cielo è stato solo un cazzotto, ma a distanza di 24 ore, scaduto il tempo per la compassione, si inizierà la battaglia per sancire eventuali responsabilità morali di quanto accaduto. Bene, il Pennivendolo si chiama fuori da questa logica, perché qui non si punterà il dito contro nessuno. Diciamo piuttosto che è nel mio interesse inveire contro l'intero sistema che ha trasformato la lotta politica in una questione viscerale; l'ha buttata sul piano personale, facendone motivo di rabbia privata proprio come un lite tra vicni di casa. Il tuo cane me la fa sullo zerbino? Te lo ammazzo. Mi ammazzi il cane? Ti taglio le gomme della macchina e via nel turbine di follia.

Quanto detto è un'iperbole, ma ben poco si discosta dalla realtà. Ha ragione Gian Paolo Pansa nel ricordare che una stagione delirante l'Italia l'ha già vissuta durante gli anni di piombo, quando bastava finire in prima pagina sui giornali per venire gambizzato o fatto furoi come nemico del popolo. I toni della lotta politica sono impazziti: da una parte c'è l'attacco a tutte le strutture istituzionali, dall'altro il desiderio di distruzione personale del Berlusconi soggetto politico e infine è arrivata anche la terza parte: quella dei folli che pensano che la lotta politica possa essere risolta a colpi di madonnina. Si tratta di pazzi appunto, di persone disturbate, in terapia ma mai come ora urge la necessità di aprire i libri di storia e mettersi a leggere un po'. Probabilmente i più non sapranno chi fu Rudi Dutsche (foto). Ebbene, ve lo racconta il Pennivendolo come occasione per mettersi a pensare.

Rudi fu uno studente tedesco che nel 1963 aderì al gruppo Sovversive Aktion e all' SDS, l'organizzazione degli studenti socialisti tedeschi. Dutschke divenne in breve tempo il leader dell'ala antiautoritaria dell'organizzazione. Lo chiamavano Rudy il rosso, tutto Marx e Mao, determinato più che mai a creare scompiglio all'interno della borghese e imprenditoriale Germania Ovest della fine degli anni Sessanta. Ma qualcosa non funzionò. Contro Rudy il rosso si scatenò una vera e propria campagna mediatica capitanata dai giornali controllati da Axel Springer (editore tedesco oggetto delle mire rivoluzionarie di Dutsche), che titolavano "Fermate Dutschke Adesso!". E alla fine qualcuno ci pensò davvero a fermare Rudi. Un tappeziere esaltato e psicologicamente instabile, Joseph Bachmann, prese alla lettra l'invito e l'11 aprile 1968 sparò a Rudi tre colpi. Dutsche non morì ma soffrì di seri problemi al cervello per l'attentato per tutta la vita. Morì nel 1979 in seguito a una crisi epilettica mentre faceva il bagno.

Ora: non è forse giunto il momento di moderare i toni? L'unica cosa di cui sono certo è che un pazzo pronto a premere il grilletto non è cosa difficile da trovare.

venerdì 11 dicembre 2009

Il Nobel dell'ipocrisia


"Esiste la guerra giusta". Che novità, come sostenere d'avere scoperto l'acqua calda. Eppure all'annuncio da parte di Mr. President il mondo sembra aver ricevuto l'illuminazione dell'oracolo di Delfi. Pensate a cosa sarebbe successo se a dire la stessa cosa fosse stato George W. Bush. Altro che rivolta popolare e giù con le bandiere a svastiche e strisce. Il grande sciamano ce l'ha fatta, ci ha fregati tutti, ci ha ipnotizzato e come un branco di pirla ci siamo abbeverati delle sue castronerie come al Sacro Fonte dell'eterna giovinezza. Così, a distanza di anni, siamo tutti d'accordo che la guerra in Afghanistan è sacra e santa, così come in Iraq il fosforo bianco e i proiettili non sono poi così terribili. E questo perché? Solo per legittimare il suo bel faccione mentre ritira la sua patacca.

Si è detto che quello di Mr. President sia stato un Nobel alle intenzioni, alle speranze. Bei concetti che sono stati smentiti con l'invio di altri 30mila soldati in medio oriente. Se non ricordo male, sempre sugli intenti e sulla prevenzione, l'amministrazione Bush varò quel concetto aberrante di guerra preventiva. Non è forse la stessa matrice logica che oggi partorisce il Nobel preventivo? Potremmo aver trovato il nuovo prodotto intellettuale "Made in Usa"di stampo Mentadent: prevenire è meglio che curare. Solo che non voglio essere abbastanza pecora da bermi questa farsa. Dico no a Mr. President e a sua moglie (che è come il prezzemolo è su qualsiasi passerella, in tutte le tv americane. Ma qualcuno l'ha mai votata?), dico no alle balle spacciate per una lezione di politica internazionale. Mi spiace Mr. President, non sono abbastanza pirla da credere che in fondo sia poi così diverso dal suo predecessore. Il mondo le crede io no.

Pubblicamente ho sempre pensato che la guerra in medio oriente avrebbe tenuto alla larga un conflitto da casa nostra, e così è stato. Per questo però mi diedero del guerrafondaio imperialista. Ma adesso cos'è successo? La guerra è un concetto pop? Non è più una bruttura esclusiva delle destre mondiali? Non è più il peggiore dei mali legati alla delirante natura umana chiamata violenza? Me lo spieghi Mr. President perché la sua comparsata all'Accademia dei Nobel mi ha gettato nella confusione. Molti colleghi sulle pagine dei giornali sembrano aver capito tutto, io un po' meno. Sembra che dai cannoni in Iraq debbano uscire i fiori adesso.

Un'ultima cosa: se davvero lei fosse stato l'uomo del cambiamento, quel premio di cartone lo avrebbe rifiutato risparmaindoci tutta l'ipocrisia della cerimonia di Oslo.

giovedì 3 dicembre 2009

A chi giova?


Negli anni Settanta, davanti ai cadaveri delle stragi terroristiche, la sinistra extraparlamentare soleva chiedersi accarezzandosi il pizzetto anticonformista: "Ma tutto ciò a chi giova?". In quel clima di confusione politica e sociale, l'interrogativo portò fuori strada i più sulle colonne degli organi di stampa alternativa e di controinformazione: sono i servizi segreti, la Cia, i russi e chi più ne ha ne metta. Cercando di capire cosa stia succedendo oggi nella maggioranza, tra un Fini scontento e un Berlusconi incazzato, credo che porsi la domanda "a chi giova?" possa essere invece una buona chiave di interpretazione. Mentre il premier se ne vola a Panama, in Italia rimane l'eco delle ultime dichiarazioni di Fini che (inutile fingere) è ormai un elemento d'opposizione all'interno del Pdl. Non entriamo nel merito se il Pdl debba essere un feudo berlusconiano o la copia riuscita del Partito Democratico, non è questo che mi interessa per ora. E' sicuramente più importante, nel mezzo di questo fuoco incrociato, riuscire a capire chi sta traendo vantaggio. Lo dico subito a scanso di equivoci: non sono ne Fini, nè Berlusconi.

Da volpe del deserto parlamentare, chi questa volta sembra aver capito tutto è Casini che, sempre più vicino a Berlusconi, ha intuito che da questa guerra può trarre vantaggio. Quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare e anche Bossi è consapevole che, bruciato Fini, l'alleato chiave del Cavaiere sarà sicuramente lui.

Dunque la sfida si trasla tra chi c'è e vorrebbe pesare sempre di più, Bossi, e chi se ne è andato e adesso vorrebbe tornare, Casini. Staremo a vedere, ma una cosa è certa: Fini da solo non può andare da nessuna parte e il Pdl dovrà rimettersi al tavolo per ridiscutere sul futuro della struttura del partito. Alle spalle della lotta intestina, chi giocherà la partita nell'ombra del futuro degli equilibri e delle alleanze, saranno proprio Bossi e Casini.