mercoledì 20 maggio 2009

Torino 2: L'amore, l'angoscia, la guerra e la famiglia viste con gli occhi dell'Altro


Piace proprio a tutti, anche a quelli che un suo libro non l'hanno mai letto. Le due casalinghe di Voghera sedute in spasmodica attesa del suo arrivo nella sala dei "500" commentano "che uomini così non ce ne sono più", dispiace per i loro mariti. David Grossman ha conquistato i cuori dei visitatori della Fiera del libro a prescindere dal fatto che siano o meno suoi lettori. Argume e dolcezza, un pugno al cuore sferrato con un sorriso, questo è Grossman. E' passato un anno dalla pubblicazione italiana del suo ultimo romanzo A un cerbiatto somiglia il mio amore edito da Mondadori e i tempi sono maturi per tirare le somme: "A un anno di distanza ho raccolto reazioni, informazioni e commenti su questo libro - spiega lo scrittore israeliano -; sono rimasto sorpreso come il pubblico italiano si sia esposto emotivamente alla stratificazione di temi di cui il romanzo è permeato. Temi che per altro ritenevo prettamente legati alla realtà israeliana e che invece sono stati accolti come interrogativi universali". Il rapporto uomo donna, madre e figlio, la guerra, la diffidenza verso il diverso e la tragedia arabo israeliana. Scorrendo le pagine del romanzo ce n'è per tutti i piani di lettura: Orah, la protagonista, rapirebbe il cuore di qualsasi madre, così come Ofer incarnerebbe l'ambizione di ogni figlio e Avram il tormento dell'innamorato. Forse è proprio l'alchimia di sincerità dei personaggi il segreto del successo di Grossman. "Quando scrivo i personaggi che creo sono sinceri perché io entro in vera intimità con loro - continua Grossman -; poi il libro esce e, a distanza di tempo, mi accorgo attraverso i lettori che si svelano sottigliezze e sfaccettature delle quali ero inconsapevole. Se durante la stesura c'è l'intimità con il personaggio, è solo il lettore che in un secondo tempo mi rivela veramente ciò che ho creato". Una tesi che è anche la chiave di lettura del libro. "Sei tu che mi stai rivelando qualcosa che avrei dovuto sapere" dice Avram a Orah nel flashback iniziale del racconto. A un cerbiatto somiglia il mio amore è un romanzo di viaggio, dove il tema dell'homo viator è strumento per fuggire da una possibile cattiva notizia. Ofer, il figlio di Orah, è al fronte impegnato in una delicata operazione militare, così la madre fugge per tutto il periodo di ferma del figlio dalla possibilità di ricevere la notizia della sua morte. "In Isreale c'è un cerimoniale particolare per comunicare la morte di un soldato al fronte. Una volta accertata la notizia, gli impiegati dell'esercito si impegnano a raggiungere le famiglie a qualsiasi ora del giorno e della notte - spiega Grossman -, così Orah crede, con un pizzico di magia e misticismo, che se non si presenterà a ricevere la notizia, allora non può suceedere nulla di male a Ofer". E Grossman lo sa bene cosa vuol dire ricevere la notizia della perdita di un caro in guerra: nel 2006 durante l'invasione del Libano, lo scrittore israeliano ha perso il suo secondogenito Uri di 21 anni, proprio mentre completava la stesura di A un cerbiatto somiglia il mio amore.
La fuga di Orah non è fine a se stessa; per esorcizzare il presagio della morte imminente del figlio, Orah ricorre a un escamotage: ne ripercorre tutta la vita passo per passo: "Questo libro è pieno di dettagli di vita quotidiana, di elementi su cui si costituisce l'entità di una famiglia, di come si mette al mondo un essere umano e degli sforzi, delle ansie necessarie per crescere un figlio - continua lo scrittore israeliano - Sapendo che il figlio è al fronte Orah lo vuole proteggere, ma come ? Raccontando la storia di Ofer. I genitori fanno di tutto per i propri figli, tutto ciò che si reputa indispensabile e si insinua continuamente il pensiero che tutto ciò che si fa lo sia fa per il loro bene. Così si ha la consapevolezza che a loro non può succedere nulla. Quando lo schermo protettivo di Ofer cade, a Orah non rimane che raccontare la sua storia per continuare a proteggere il ragzazzo".
Scorrendo la produzione letteraria di Grossman colpisce la maniacale precisione con cui lo scrittore affronta il tema della delineazione dei propri personaggi. Un'ossessione quasi, quella che sente il romanziere per la fisicità dei protagonisti, come un atto di volontà per avere la consapevolezza della loro possibile realtà: "Il corpo capisce e io posso capire con il corpo - continua l'autore israeliano -. Io scrivo in maniera fisica e sono chiamato a scoprire come si sta dentro alla pelle del mio personaggio, a capire come è fatto. Per questo devo sempre trovare qualcuno a cui il personaggio assomigli in carne e ossa per riuscire a immedesimarmi in lui. Quando scrissi Qualcuno con cui correre ricordo che ebbi difficoltà a trovare un volto per Tamara, la protagonista. Mi trovavo al centro commerciale e vidi una ragazza che mi trasmetteva tanta dolcezza quanto determinatezza, proprio come doveva essere Tamara. La guardai e, prima che si rompesse l'incanto, me ne andai dal negozio. Avevo un volto per Tamara".
L'arte della scrittura, che sia di Grossman o meno, ci deve quindi portare a confrontarci con l'Altro, entrando nella testa e nel cuore di chi ci sta davanti riconoscendone pregi e difetti: "Spesso rinunciamo a fare esperienza dell'altro per paura di immischiarci col disordine e il caos che potremmo trovare dentro di loro - siega Grossman -. Se da scrittore ponessi fine al pensiero die miei altri creati nei libri, allora scopreirei quanto poco so del mondo che mi circonda. Noi usiamo parole, ma non tutte queste sono intese dagli altri per quello che valgono ed è per questo che la scrittura ha valore, perché mi svela la realtà attraverso gli occhi degli altri".
Ascoltare David Grossman significa anche confrontarsi direttamente con la questione palestinese in maniera non convenzionale, lontano dai luoghi comuni del pacifismo di bandiera, ma toccando con mano il nodo cruciale della tragedia umana che si consuma da troppo tempo: "Uno per Israele e uno palestinese, sarebbe questa la sola e unica soluzione secondo la mia modesta idea - conclude Grossman -. Dua Stati separati da normali confini e non mura. Il nostro nuovo premier Benjamin Netanyahu sa che questa è l'unica via d'uscita dal conflitto se non si vuole finire con l'applicazione di un'apartheid causata dalla realtà di uno Stato binazionale. Barak Obama ha fatto respirare un'aria nuova in questo senso, parlando un linguaggio nuovo lontano dalla xenofobia, comunicando con empatia e solidarietà con entrambi i popoli. Domani (domenica 17 maggio ndr) Obama e Netanyahu si incontreranno e spero che il presidente americano imponga la soluzione dei due Stati perché sono certo che anche Netanyahu la voglia, solo che ha bisogno che qualcuno lo spinga. Altrimenti dovremo rassegnarci a sprofondare nell'ennesimo ciclo di violenza e sangue". E questo non lo vorremmo nemmeno noi.

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