domenica 18 dicembre 2011

La guerra è bella anche se fa male

 La guerra in Iraq è finita. Quattromila soldati americani caduti sul campo e più di centomila civili morti. E' facile dire che una guerra finisce. Così come è ancor più facile dichiararne l'inizio. Il problema è quello che rimane. Rimangono le grandi bugie, le illusioni di un mondo migliore, l'opinione pubblica occidentale che si interroga nei salotti e si divide tra pacifisti e interventisti. La guerra è come la droga: il copione lo conosciamo, le conseguenze pure, tuttavia in preda a una dipendenza irresistibile torniamo a rivivere ogni volta lo stesso film.

Sento dire - come un disco sbeccato - che "questa guerra ha diviso profondamente l'opinione pubblica americana". Ma pensa? Dai ? Perché il Vietnam no? La prima guerra del Golfo? La Somalia? La Seconda Guerra mondiale e ancor prima la Grande Guerra? Quasi nove anni fa un presidente dava l'ultimatum a Saddam Hussein per lasciare Bagdad e oggi un altro assolve le le proprie promesse elettorali portando tutti a casa, arrivederci e grazie, lasciando un paese disastrato e coperto di macerie. Chi è il peggiore? La verità è che una risposta non c'è, a differenza di quanto non ci si voglia far credere.

L'ipocrisia che aleggia dietro la guerra la si respira guardando i servizi giornalisti che negli ultimi quarant'anni hanno raccontato le guerre in giro per il mondo. Cambiano i colori delle divise, della pelle della gente, dalla giungla si passa al deserto, ma in sostanza nulla cambia: un ventenne imberbe con indosso i panni del soldato che sogna la fidanzata lontana, i saccheggi, i bambini che piangono, le case bombardate, le brutalità sui prigionieri e l'epilogo del dittatore ammazzato... E' sempre la stessa musica, un disco rotto che ci perseguita ma ci ipnotizza, del quale non possiamo fare a meno.

Il paradosso della guerra è che per quanto cambi nella forma, resta uguale nella sostanza, facendo si che tutte quelle migliaia di morti non servano ad altro che a riempire una pagina in più dei libri di storia per i licei. Tutto serve a rendere eccezionale quello che per il corso della storia è invece drammaticamente normale. Spiegate voi a un reduce che ha perso le gambe che la guerra è finita. Per lui è iniziata il giorno che lo hanno mutilato.

Un giornalista racconta: "Ho visto cadere la statua di Saddam".  "E chissenefrega" -  risponde un collega più anziano - "Io ho visto i rumeni fare la pipì sulle immagini di Ceausescu". "Pivelli" - ne fa eco un altro ancora - "Voi non c'eravate a Piazzale Loreto". Provate a dirmi adesso che la storia non è un acne che si morde la coda? Ma anche io voglio fare della retorica. Posso dire che sono diventato uomo di pari passo con lo sviluppo di questa guerra. Oggi ne scrivo da giornalista professionista, ma quando questa è scoppiata ero un liceale dell'ultimo anno. Le opinioni dei miei coetanei sono state impregnate profondamente dalle macerie delle Twin Towers, dalle bombe di Nassiriya, dalla morte di Calipari e dal rapimento della Sgrena e via dicendo. Ma lo stesso non lo potrebbero dire i nostri genitori con quanto accadde in Vietnam o nell'ex blocco sovietico? E i nostri nonni con la Seconda Guerra Mondiale?

Chiudiamo questo capitolo di lacrime, sangue e polvere. Mettiamoci comodi e attendiamo di assistere al prossimo.

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