sabato 9 maggio 2009

Quale bellezza salverà il mondo?


E’ difficile trovare una definizione che possa soddisfare la millenaria percezione che l’uomo ha della bellezza. Si potrebbe partire da una concezione prettamente aristotelica che con bellezza intende definire il vero, piuttosto che propendere per il versante platonico e sancire una corrispondenza concettuale legata al mondo delle idee, alla metafisica. Poco importa quale delle due definizioni si scelga, l’attenzione deve invece sancire quale bellezza possa in qualche modo salvare il nostro mondo. E’ l’interrogativo che si è posta anche la tavola rotonda coordinata da Don Ambrogio Pisoni del Centro Pastorale dell’Università Cattolica. Le risposte possono essere tante quante sono le persone sulla terra ma, scansando un approccio prettamente empirista alla definizione di bellezza, ecco che la prospettiva di salvezza di un mondo per mezzo del bello assume una forma ben precisa. A raccontare le loro “bellezze” sono stati: l’attrice Lucilla Giagnoni il professor Domenico Bodega, docente di Organizzazione aziendale; il professor Carlo Galimberti, docente di Psicologia sociale e il professor Glenn Most, docente di Filologia Greca alla Scuola Normale Superiore di Pisa e di Social Thought alla University of Chicago.
“Invitare un economista come me a incontri del genere è un azzardo - ha scherzato il professor Bodega -. Nella situazione economica odierna, i sistemi funzionanti non sono quelli più razionali. Ci sono situazioni ambigue perché create da una molteplicità di fattori che devono fornire decisioni spesso azzardate. L’eccellenza della leadership in queste situazioni al limite (in riferimento alla crisi economica) è quindi data dall’integrità morale degli stessi. Siamo dunque di fronte a una percezione di ambiguità che ci porterà a una decostruzione del sistema in vista di una futura ricostruzione. Ebbene, questa capacità di convivere con l’ambiguità e il mistero cogliendone gli stimoli è da ricercare nei poeti”. La poesia come viatico per l’uscita dalla crisi economica, una visione incredibile quanto curiosa, ma Bodega non sembra avere dubbi: “In economia, ora come ora, occorre quella creatività che deriva dalla capacità di stare nel disordine, è questo che serve in una situazione di ambiguità - conclude Bodega -. Come il poeta decostruisce e costruisce, così dovremo lavorare per ritornare alla ricostruzione dei nostri principi valoriali”.
Per il professor Galimberti invece la bellezza redentrice del mondo è da ritrovare nella metafora dantesca delle tre fiere; le tre belve allegoriche che ricalcano le debolezze del genere umano. Appassionato di letteratura e musica jazz, Galimberti ha ricostruito la sua vita segnalando tre tappe alle quali ha affiancato un romanzo preciso che potesse in qualche modo aiutarlo a ritrovare le sue tre fiere. “La Strada” di Cormac Mc Carthy, “Il trentesimo anno” di Ingeborg Bachmann e “Un favore personale” di John Banville. Galimberti ha posto al centro del suo intervento il ruolo fondamentale della parola, leggendo alcuni passaggi dei romanzi proposti: “ La parola è un atto ha due - ha continuato il professore citando Mihail Mihailovič Bachtin -, un ponte gettato tra me e l’altro. Che ponte è stato gettato verso l’altro, ma ancora, che ponte sta gettando l’altro verso di me?” La risposta viene proprio da questi romanzi: dall’inquietante atmosfera de “La Strada” dove padre e figlio non sono le sole reciproche certezze in un mondo post atomico in cui impera il cannibalismo e la lotta per la sopravvivenza, alla separazione dalle proprie radici narrata dalla Bachmann per ripartire alla volta del viaggio della vita e infine alla pulsione epistemofilica, l’insaziabile fame di sapere oltre l’inganno delle apparenza, dell’anatomopatologo Quirke di Banville. Ma tutto questo peregrinare di pagina in pagina ha un senso: conseguire il grande obiettivo finale comunitario, la felicità. Una felicità che secondo Galimberti è paragonabile al risultato di “Kind of blue” di Miles Davis, dove l’improvvisazione dei musicisti jazz si risolve nel risultato comune di un capolavoro musicale.
Sembra che la bellezza che ci salverà debba arrivare dall’adattamento poetico all’instabilità, unito alla profondità del rapporto con l’altro fondato sulla parola. Una commistione che potrebbe anche risolvere l’atteggiamento con cui affrontare l’attuale crisi economica. Il professor Glost ha quindi mediato le tesi di Bodegar e Galimberti: “Dante dimostra come l’onestà del vissuto umano possa essere legata in maniera indissolubile al testo - ha spiegato il professore -; La poesia di fatto ci può salvare, ma proprio per questo dobbiamo ricordarci che non tutti siamo Dante però. questo significa che davanti alla crisi economica, non dobbiamo dimenticare le altre crisi che non prendiamo in considerazione, come la crisi del senso della vita o quella spirituale. La bellezza che deve intervenire è quindi quella che salverà il mondo dall’autodistruzione. Le arti e la poesia ci possono aiutare in questo senso”. Già perché le vie non sono molte come dice Italo Calvino: “Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e sapere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”.

4 commenti:

  1. Bella la visione della poesia che ci tira fuori dalla crisi economica. Però la bellezza non è riducibile alla poesia, nè a nessuna delle arti, nè a nessuna delle più salvifiche azioni umane, che sono comunque contingenti. La bellezza è invece il fondamento eterno di tutte queste azioni e arti, diverse tra loro ma tutte accomunate da una stessa sostanza, da un identico atteggiamento nei confronti della realtà. Poesia, musica, dipinti, persone, azioni, articoli di giornale: sono tutti oggetti diversi, ma possono essere ugualmente belli. E lo sono quando individuano nel marasma quotidiano la scintilla eterna che accomuna l'uomo al divino, e, mostrandola creativamente al mondo, rivelano la strada per risollevarsi verso la salvezza.

    Floriana

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  2. Lo so, e mi stupirei del contrario. Io partivo dalle parole del prof. Bodega.

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  3. Dopodichè mi piace molto la citazione conclusiva di Italo Calvino (che non conoscevo), perchè esprime bene qual è il principio del "bello che salva", di cui varie idee sono emerse nella tavola rotonda.
    Calvino parla trovare nella vita ciò che non è inferno, e coltivarlo. In Grossman, se ti ricordi, Avram dice a Orah "C'è un tale fulgore anche nelle cose più semplici. Promettimi di vederlo sempre". Penso che il "fulgore delle cose semplici" di Grossman sia in qualche modo sinonimo del "non-inferno" di Calvino, e che entrambi gli autori, con questo, parlino della bellezza che salva...

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