venerdì 20 febbraio 2009

Lo senti il canto dell'apocalisse?


Cadenzare una marcia funebre senza il morto, o fingere di non essere già spacciati? La cultura occidentale si trova davanti a un bivio. Innanzi tutto occorre fare chiarezza e definire a chiare lettere cosa si intenda per cultura. C'è una sottile, ma cruciale, differenza tra i concetti di civiltà e cultura. Due termini inflazionati, spesso usati indebitamente sullo stesso piano. Ma una differenza c'è, eccome. Civiltà è uniformità diffusa su un sostrato sociale, mentre cultura è il patrimonio in cui una civiltà si riconosce e si autoafferma. Ebbene, è la cultura o la civiltà occidentale a essere incamminata sulla via del tramonto?
Senza dubbio il patrimonio consumistico, emblema della nostra civiltà, è il punto focale su cui si è giocata la dipartita corruttiva dell'occidente. I due concetti si sono slegati progressivamente causando un allontanamento della civiltà dalla cultura, un processo che ha trascinato nell'oblio anche il blasonato patrimonio della conoscenza. L'empireo dello scibile è così ancorato più a una realtà metafisica che empirica, un problema cocente che ha trasformato l'occidente nel santuario della competenza senza conoscenza.
Tutto è arte, tutto è cultura, tutto ciò che si scrive e produce è posto sullo stesso livello. L'espressione nichilista e relativista della produzione artistico-letteraria contemporanea, impregnata dell'imperativo buonista dell'equiparazione e del non giudizio, di fatto ha appiattito il concetto di cultura. E' qui che si consuma il declino. Se la civiltà americana è alle corde, e non me ne si voglia ma l'ultimo mandato di Bush ne è icona, è chiaro che anche l'intero sistema europeo ne risente brutalmente. Da think tank del mondo, ci siamo ridotti a bocca famelica che tutto accetta e tutto ingoia senza nemmeno provare a masticare.
Come uscirne? Tralasciando un discorso di fede, la tradizione religiosa, che per più di duemila anni ha preservato la sfera delle nostre conoscenze, potrebbe essere un buon punto di partenza. Ma spingendosi ancora oltre, potremmo azzardare la lettura della Critica della ragion pratica di Kant. La chiave di volta sembrerebbe essere l'estetica, o maniera, o gusto qual si voglia, nella sua accezione meno soggettivante possibile. Posti innanzi a un'opera d'arte non possiamo che giudicare, un processo innato nell'uomo. Ebbene: la via d'uscita potrebbe essere quella di intervenire radicalmente sui criteri che ci portano a definire il nostro giudizio. Perché non è vero che tutto quello che si produce è pari. Così come nelle scuole non è possibile omettere Dante e Manzoni perché troppo obsoleti. Eppure è quello che avviene in nome dell'autonomia scolastica.
Prendete un orinatoio, capovolgetelo, e otterrete una fontana. Quasi un secolo fa Marcel Duchamp aveva già intuito, insieme a tutto il Dada, cosa ci sarebbe successo. Bel gesto quello di Duchamp, ma appunto un gesto. Guardiamo dietro per andare avanti, sperando di non doverci ridurre a dover narrare le antologie funerarie di un mondo scomparso. Manco fosse un'apocalittica Spoon river...

1 commento:

  1. "le ideologie sono finite. la cultura è ormai diffusa, implosa e in corso di svalutazione.

    Una parte di umanità è sempre stata così, riesce a viverci e a dialogare naturlich in questo vaso di Pandora senza vaso;

    un'altra parte, invece, svanisce e smarrisce la propria credibilità.
    Le categorie finiscono e manca qualcosa.

    Lì dovremo costruirci la famosa microanarchia, la cura di sé. Ormai un po' fumosa ma sempre più seria di qualsiasi scatola vuota".
    (Georges Moszkowski)

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