martedì 2 novembre 2010

IL BOMBAROLO


Come disse un carissimo amico: “Se Gesù fosse nato in Italia, avrebbe fatto carriera poiché figlio di Dio”. Almeno uno straccio di seggio in parlamento glielo avrebbero dovuto dare. Un ministero, un contratto da portaborse o sottosegretario. Invece a noi cosa rimane? Precariato, instabilità, silenzi e una classe politica illusa di avere ancora il minimo controllo sulle masse. Già illusa. Ancora fermamente convinta che la soluzione ai problemi consista nel gettare sempre più carbone dentro la fornace del consenso, alimentando senza fine la lotta tra il bene e il male. Credo che al giorno d’oggi non ci sia niente di più metafisico se non la politica. La definizione or ora non saprei come darla - visto considerato che tra poco saranno qui a prendermi - ma sono certo che la forma della politica è là ancorata al mondo delle idee, incapace di distillarsi, di incarnarsi in qualcosa di diverso dal meccanismo della corruzione, dell’autoaffermazione e del clientelarismo.
Finché avrò tempo continuerò a scrivere questo mio testamento, anche se sono certo che - una volta catturato - di ciò non rimarrà nulla se non un’eco fievole.
Sono nato posteriore. Non significa podalico, ma posteriore alla realtà che mi circonda. Io non ho scelto il linguaggio, non ho scelto il mio nome, non ho scelto lo Stato a cui ho dovuto assoggettarmi silenziosamente. Sono nato prigioniero e tale morirò. Come tutti voi che forse leggerete qualche frammento di questa lettera. E pensare che tutto ciò ci è stato detto anni e anni or sono, ma l’uomo è stupido, l’uomo è perseverante nell’errore e gode nel calarsi gocce di cera nelle orecchie per non sentire. Chiuso nella mia stanza sfoglio come un maniaco le pagine di Marcuse, Heidegger e Lacan cercando un ultimo conforto, un sospiro di libertà prima della fine. Montesquieu ci aveva provato con il suo Esprit des loies, ma a cosa è servito tutto ciò se siamo finiti a questo punto? Perché nessuno ha chinato la testa per ascoltare il grido di questi amici nel silenzio della storia?
Abbiamo goduto del pane e ci siamo rilassati al circo dei potenti, satolli di consenso dispensato in pillole, fingendo di divenire attori del processo democratico giocando alla fondazione delle sedi di partito e alle riunioni dei comitati elettorali. Ma tutto ciò a cosa è servito, se non ad attenuare la consapevolezza della schiavitù? Abbiamo creduto di poter gestire il potere, anestetizzati dal consumo e dal benessere, abbiamo abbassato il collo della camicia per fornire senza intralci la nuca al boia.
Questo mio ultimo canto prima dell’inferno lo dedico soprattutto a coloro che - ingenui - hanno creduto di essere liberi combattenti per la libertà. Chi sono questi paladini da strapazzo? Voi! Sì voi! Voi che avete sguazzato nell’ipocrisia dell’opposizione, voi che avete scavato il solco della diversità. Voi che vi siete innalzati a sommi giudici capaci di sancire ciò che è bene e ciò che è male. Avete costruito una nuova cortina di ferro fatta di marzapane, una barriera fittizia capace di ingannare solo i più ingenui. “Perché noi siamo diversi, mentre voi...”. Pluralis maiestatis delle mie palle. Nella cloaca maxima non esiste un noi e non esiste un voi, ma esiste solo un unicum degenerato che amministra e spartisce il potere. E chi pensa di essere esente da ciò si sbaglia, perché il politico è come il pesce. Dopo tre giorni puzza.
Io ho saltato insieme a pochi la cortina di ferro. Come quel soldato ritratto a Berlino e adesso condannato ad essere venduto come cartolina per i turisti, io ho fatto il salto. Un salto della quaglia che mi ha salvato moralmente e condannato formalmente, un moto che mi ha posto sopra le parti. Solo contro tutti. Mi rammarica la consapevolezza che farò la fine di altri fessi che, come Don Chisciotte, pensavano di poter abbattere i mulini a vento. Io qualcosa ho abbattuto e probabilmente ho sbagliato, ho fatto del male, ho dispensato disperazione e per questo Dio mi consegnerà il conto da pagare. Ma se c’è un Dio, sarò lieto di pagare a lui il conto di una rivolta contro coloro che il conto me lo hanno presentato ancora prima che nascessi. Coloro che hanno istituito la struttura perversa della concezione di Stato al quale l’individuo ha dovuto silenziosamente versare l’obolo della propria esistenza. Rinunciare a uno spicchio delle proprie libertà personali per consegnarlo nelle mani dello Stato.
Io ho infranto l’esclusiva della coercizione della forza predicata da Weber. Io ho sovvertito il naturale esito dei conflitti sociali predicati da Hobbes dando un calcio in culo alla summa potestas e alla forma astratta del mandato implicito che i cittadini danno allo Stato. Io ho detto di no a tutto questo e per questo verrò punito. Io mi sono sostituito allo Stato. Io ho combattuto la paralisi della critica. Io non sono un uomo a una dimensione.
Quando ancora galleggiavamo innocenti nella placenta delle nostre madri, già il peccato originale della posteriorità ci insidiava. Avevamo un nome prima di essere venuti al mondo, e questo com’è stato possibile? Lo abbiamo scelto noi, oppure è il nome che ha scelto noi? E la lingua? Noi abbiamo avuto l’altezzosa superbia di poter avanzare la consapevolezza della manipolazione del linguaggio e invece no. Ci siamo serviti solo di una sovrastruttura che ci ha dominato. Così come lo Stato. I feti sono stati italiani, francesi, svizzeri, europei o cinesi prima di vedere la luce. E’ lo Stato che ci ha scelto in barba alla nostra libertà. Ci ha bollati e catalogati. Io ho provato a dire di no a tutto questo, ma alla fine ho perso la mia guerra. Ora il boia mi chiama per porre fine al sogno di una mente malata. Arrivederci.

Nessun commento:

Posta un commento