mercoledì 15 aprile 2009

A tu per tu con il deserto


La jeep schizza a 80 orari sul fondo ti terra battuta. Sembra di essere nella centrifuga di una lavatrice. C'è poco da fare se non guardare il nulla facendosi sballottare. Si corre su quello che non c'è, direbbero gli Afterhours, eppure l'obiettivo è chiaro. Le dune sono all'orizzonte, alte e rosse, colorate dal sole che piano piano cala al di là dell'Atlante. Da un lato l'Algeria, dall'altro le montagne marocchine. Un punto bianco dentro al deserto, ecco cos'è il fuoristrada che corre nella piana berbera, un punto nel mezzo del nulla. Ma come è possibile fluttuare nel nulla? Tutto è possibile facendosi passare fra le dita un pugno di finissima sabbia levigata dal vento. Le scarpe si riempiono in un attimo, la sabbia scorre come nei racconti delle mille e una notte, ma questa volta è tutto vero. Basta lasciarsi alle spalle Erfoud e l'unica lingua d'asfalto che finisce a Merzouga e Rissani, il resto lo fa l'abbraccio dell'Erg Chebbi.

L'essere nel nulla è il magico regalo del deserto. L'oriente e il suo misticismo si catalizza qui, rendendo vivo l'ossimoro dell'esistenza al centro del vuoto. Ci si arrampica su una duna ed è lì che si comprende il limite del singolo di fronte all'infinito. L'occhio non scorge la fine di questo mare rosso che cambia continuamente al calare del sole. Nemmeno l'udito è d'aiuto. Il vento soffia, ma non abbastanza per coprire l'eco del nulla. Nemmeno i propri passi riescono a fare rumore. Il deserto sconfigge l'individuo con la sua persistente esistenza di nulla. C'è poco da fare: ci si può lasciare a dubbi divertimenti come lo sci sulle dune o il raid con potenti fuoristrada: alla fine il deserto vince sempre. L'indomani non si presenta con la stessa faccia di come lo si ha lasciato. Il deserto è in costante divenire, è eterno presente, fuori dal tempo e dallo spazio, perché questi due indicatori cartesiani della fisicità umana qui non hanno senso di condizionare niente e nessuno.

Non resta che scalare un'altra duna...

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